L’ avanzata tecnologica che nel ‘900 aveva sostituito lavandaie e domestici con lavatrici ed elettrodomestici ora si propone di togliere il lavoro a psicologi e psicoterapeuti con robopsicologi e roboterapeuti. I modelli di intelligenza artificiale hanno dato vita a chatbot terapeutici come Woebot e Wysa, basati sulle istruzioni della terapia cognitivo-comportamentale. Studi clinici parrebbero confermare: due settimane con Woebot possono ridurre i sintomi depressivi in modo simile a una teleterapia. Si tratta però di supporto psicologico di primo livello: praticamente “aspirine” di emergenza, a disposizione 24 ore su 24, prima di poter accedere al servizio sanitario. Quando c’è e quando è accessibile. I dati sulla salute mentale giovanile fanno tremare: il 51,4 per cento degli adolescenti italiani dichiara di soffrire regolarmente di ansia o tristezza. Il 75 per cento è sotto pressione per la scuola. La pandemia ha accelerato un disagio già radicato, mentre i servizi di neuropsichiatria infantile sono al collasso: utenti raddoppiati in dieci anni, liste d’attesa infinite, scarsità di psicologi scolastici. Secondo stime recenti, almeno un ragazzo su cinque della Gen Z ha già usato ChatGPT per parlare di problemi personali. Non per tradurre un testo, ma per raccontare ansia, paura, isolamento. È qui il problema: Woebot, Wysa e altri strumenti specialistici sono poco conosciuti. I primi confidenti sono i modelli di Ia generalisti, senza alcuna base clinica, che creano un “sistema sanitario ombra” non regolato, non supervisionato, non umano. I rischi sono giganteschi. Le “allucinazioni” dell’Ia (risposte inventate ma convincenti) possono diventare pericolose. In un caso estremo, un chatbot ha suggerito il suicidio a un adolescente. In molti altri, l’accondiscendenza e il servilismo delle Ia tende a normalizzare e giustificare comportamenti antisociali o narcisistici tipici dei disturbi di personalità.