Più che una recensione, stavolta, direi una storia. A luglio sono stata qualche giorno in pausa in un’isola italiana senza glamour, senza movida, senza divisioni classiste nelle opportunità del tempo libero, ma anche dell’ospitalità e della ristorazione. E senz’auto. Ė l’isola del “privato”, ma inteso come participio passato nel senso che alla fine ti chiedi (a) che cosa ti sei sottratto e con quali esiti. Se ti garba l’isola, ne accetti questa democratica verve popolare che prevede una piccola comunità all’approdo e poi tanta natura da esplorare con curiosità e, certo, anche con un po’ di gamba e sacrificio. In questa idillio di pace ho comprato del miele di rosmarino e della marmellata di fichi d’india da una ragazza splendidamente socievole e magnificamente bilingue che un po’ ti parla in italiano e un po’ in francese dell’apicoltura biologica che abita le sue giornate. Capisco subito di essere incappata in un’anima bella, vocata alla gioia, che lavora per un’azienda agricola ripresa in mano qualche anno fa da una docente che alla morte del suocero, lasciando il continente e trasferendosi sull’isola, non ha permesso che questa esperienza si spegnesse nel processo implacabile di spopolamento di tanti borghi italiani. E quindi, mi direte, quando arriva il cinema, il cuore di questa rubrica? Sì, ho preso il giro largo ma ora saprete il perché: nell’unico bar bella piazza del paese intravedo un volantino molto artigianale che avvisa della possibilità di vedere due film all’aperto nel chiostro di un convento in disuso, un caso ghiotto di architettura monastica del Seicento affacciato sul promontorio settentrionale dell’isola. In realtà i due film li avevo già visti, ma il chiostro non ancora perché solitamente non è accessibile. Una delle due serate cade proprio nei giorni del mio, ahimè, brevissimo soggiorno. Decido quindi di recarmi alle 22, a luce defunta, alla proiezione di un film di Paolo Virzì. E chi mi ritrovo all’accoglienza del piccolo evento? Ancora lei, l’anima bella, e allora le dico, compiaciuta di questa alleanza d’intenti, «quindi tu fai il miele e anche il cinema?». «Eh ma questo lo faccio per volontariato», mi spiega prontamente. Sono giorni che continuo a pensare che chi fa cose belle, ne prova a fare tante altre nella sua vita. Alcune faranno rima con reddito, altre con dono, ma poco importa quale sia l’una e quale l’altra perché tutto concorre a dipingere quel sorriso che è un modo di stare al mondo e a plasmare quel senso di comunità di qualità che orienta il nostro desiderio. Alcune persone che accorrevano non sapevano nemmeno il titolo del film. Correvano verso il cinema? Verso il chiostro da sbirciare? Verso uno stare insieme al chiar di luna piena? Le motivazioni sono sempre multiple e ognuna ha il suo valore da non sottovalutare. Salpando dall’isola pensavo a quanto sia parte fondante della vacanza sforzarsi di incontrare l’anima di un paesaggio ma anche, senza mai darla per scontata, della sua comunità, sfuggendo il più possibile alle logiche di massa e di sfruttamento anche nel turismo vacanziero. Poco prima di ripartire avevo messo nello zaino da viaggio, quello extra large da 60 litri, un’infinità di panorami tra scogli, pesci, pietanze e sentieri. E, prima di chiuderlo in alto, ho infilato anche lei che fa il miele e il cinema nella sua piccola Metropolis.