Chiesa | Mondo"Dal 9 all'11 maggio 2025 si è svolto in Puglia, a Trani, nella Cittadella Sanguis Christi, il convegno "Città per vivere. Dalla disgregazione all'accoglienza" organizzato dalle associazioni Bet Polo Biblico e Cercasi un fine.
Abbiamo vissuto tre giorni densi, intensi, di altissimo livello con relatori qualificati che ci hanno permesso di aprire molti files sia per gli specialisti, sia per chi – semplicemente – “vive la città” e vuole (e ha diritto) sentirsi “cittadino” e quindi titolare di un diritto e di una possibilità: quello di vivere e stare bene nel proprio contesto abitativo, lavorativo, ricreativo e di relazione.
Nei primi due giorni abbiamo volato alto, ma siamo anche planati nel concreto.
Abbiamo lavorato con il pensiero, la speculazione e l’analisi filosofica, ma siamo stati capaci di intrecciare il pensiero, il sogno, l’idea con la possibilità e la realtà, portando esempi di pianificazione urbana attenta ai contesti, di generazione e rigenerazione urbana.
Esempi che ci hanno detto l’importanza imprescindibile di un lavoro in rete, multidisciplinare in cui tutti sono attori protagonisti che hanno diritto di parola e di ascolto – in primis le persone che abitano i diversi contesti – perché il luogo che abito deve essere un luogo di “bene”, quel bene che va coniugato con la dimensione dell’essere, del vivere e del convivere.
Dello stare bene – “ben-essere” – per usare parole più quotidiane.
Il prof. Antonio Autiero (per Bet Polo Biblico) ha introdotto i lavori con alcune domande, le vogliamo riprendere:
Chi siamo in quanto abitanti di questa terra?
Quale spazio abitiamo?
Come si sta trasformando il nostro spazio esistenziale?
Per dare risposte a queste domande la riflessione dei primi due giorni si è concentrata, “naturalmente”, su quel luogo/spazio/tempo che è la città.
Abbiamo attraversato, indagato e discusso la “metafora urbana”, da Babilonia a Gerusalemme; dalla città dell’uomo alla città di Dio.
Abbiamo detto che “la città nasce male” riferendoci a Caino, ma è anche il luogo della discendenza.
Siamo andati alla ricerca di alcuni sensi di questa metafora, attraverso buone pratiche e possibili soluzioni.
Abbiamo colto la dimensione dello “spazio”, ma anche l’importanza del “tempo”.
Perché è lo spazio-tempo il vero luogo in cui si realizza la nostra vita e può praticarsi, esercitarsi, effettuarsi la convivenza.
Sono risuonati alcuni termini che ci allertano:
– la velocità… dei ritmi, dei tempi…
– l’eccesso… delle dimensioni, della crescita…
In tutto questo abbiamo incrociato pur senza pronunciarli il potere (umano) e il potenziale umano; l’essere e il senso di appartenere a una comunità; la differenza come valore; l’equità come diritto.
Nelle relazioni e nel dibattito si sono intrecciati i valori della partecipazione (reale o abusata) e dello spirito civico; i principi della giustizia sociale e della democrazia territoriale come elementi formanti dello spazio pubblico, che deve essere pensato, immaginato e soprattutto realizzato con un’attenzione a tutti (bambini e anziani, residenti e pendolari, studenti e lavoratori e via elencando), e non essere connotato da differenza e/o diseguaglianza tra centro e periferia.
Abbiamo parlato di processi di appropriazione e riappropriazione degli spazi; di lavoro in rete e multidisciplinare; di spazi terzi o intermedi; di laboratori; di contaminazioni.
In tutto questo ci sono stati alcuni “convitati di pietra”: la politica, ma anche le istituzioni e la religione è “apparsa” nei suoi intrecci tra Bibbia e politica.
Nell’ultima giornata, con la tavola rotonda, si è cercato di entrare nelle prassi di cittadinanza; di capire come rendere reale la convivenza nello spazio che abitiamo, di come farci sentire cittadini oltre che abitanti; e di come le istituzioni – di governo, dell’amministrazione pubblica, delle religioni – possano favorire processi di integrazione e convivenza. Di come possano aiutarci a passare dalla disgregazione all’accoglienza e qui naturalmente la prospettiva allarga il livello dello spazio tempo a quello fondamentale della relazione, dell’incontro (anche culturale), del dialogo, della conciliazione dei diversi…
Si è cercato di approfondire quel sottotitolo del convegno “dalla disgregazione all’accoglienza” integrando le tre domande iniziali (chi siamo in quanto abitanti di questa terra? Quale spazio abitiamo? Come si sta trasformando il nostro spazio esistenziale?) con altri interrogativi: Come possiamo vivere insieme, oggi? Quali impedimenti ci sono alla reale convivenza delle differenze nei contesti di vita?
Ma “disgregazione e accoglienza” ci parlano anche; di “fragilità” che vanno comprese nello spazio della convivenza civica; di muri che distinguono, che separano, che dividono, che contrappongono, muri che vanno abbattuti; e di ponti di incontro, scambio, osmosi, che vanno costruiti.
Tematiche che abbiamo intrecciato con la voce delle istituzioni, grazie all’esperienza di una ex prefetto, di un vescovo emerito tuttora impegnato sul tema della pace, di una docente di pianificazione ambientale e territoriale con una precedente esperienza nella pubblica amministrazione come assessore all’urbanistica; e che abbiamo letto attraverso tre filtri/valore/fenomeni che toccano profondamente il tema della cittadinanza, della convivenza e dello spazio della convivenza: l’immigrazione, la pace/convivenza; l’ambiente.
In questo percorso ci si è accorti che nel tempo si è passati dall’accoglienza alla disgregazione, e che è necessario invertire la direzione di questi processi.
Le istituzioni hanno molto da fare, la Chiesa non può stare zitta, e troppo spesso la “macchina amministrativa” funziona in modo settoriale, e non può essere delegato ai cittadini ciò che è compito pubblico. È necessario – si è detto – un cambiamento nella distribuzione del potere e delle risorse nella dimensione dell’equità se si vuole una “città per vivere” e una città accogliente. Ma in tutto questo è emersa la consapevolezza del “tempo lento” (“trasformare lentamente” ha sottolineato Rocco D’Ambrosio, presidente “Cercasi un fine”) per trasformare le prossimità in comunità: città e politica richiedono molta pazienza, e c’è bisogno di un lavoro certosino, di dialogo costante e di ascolto per arrivare a realizzare man mano pezzetti di comunità.
