Fatti
Colli, la fine delle cave a cielo aperto
Dal 10 gennaio 2023, chiuderanno cinque attività per l’estrazione di trachite. Ma c’è chi si è riconvertito lavorando in sotterraneo. Ambiente e ambientalisti ringraziano
Dal 10 gennaio 2023, chiuderanno cinque attività per l’estrazione di trachite. Ma c’è chi si è riconvertito lavorando in sotterraneo. Ambiente e ambientalisti ringraziano
Siamo alle soglie del 2023 ed è una scadenza storica per chiunque abbia seguito le vicende legate all’escavazione della trachite negli Euganei: il prossimo 10 gennaio verranno chiuse le cinque cave di trachite da taglio a cielo aperto ancora attive nell’area del Parco dei colli Euganei. «Dobbiamo arrivare preparati e spero che si decida cosa fare ben prima dell’ultimo giorno di vita», dichiarava l’ambientalista Gianni Sandon in un’intervista del 2018. Tuttavia, a distanza di quasi cinque anni, la situazione rimane incerta, in quanto l’ente del Parco, principale responsabile delle decisioni da adottare rispetto al piano cave del 2001, non si è ancora pronunciato. Le direttive arrivano però dalla Regione, che dopo aver concesso un prolungamento dell’attività estrattiva per tre quinquenni, ha emanato la legge regionale numero 13 del 2018, con la quale si definivano le condizioni accettabili per una possibile prosecuzione degli impianti di escavazione. In particolare l’articolo 32 della stessa concede la possibilità di scavare in sotterraneo, sfruttando gallerie all’interno dei Colli, e salvaguardando così l’aspetto paesaggistico esteriore. È decisamente una strada nuova ma non così sconosciuta dato che all’estero, ma anche in Italia, molti cavatori l’hanno già adottata. Certo comporta una rivoluzione dei metodi di lavoro e soprattutto costi non indifferenti, cosa che ha scoraggiato non poco le ditte coinvolte, manonostante ciò c’è chi ha voluto provarci, e alla luce dei provvedimenti imminenti palesa una comprensibile soddisfazione: si tratta della Martini costruzioni di Carbonara di Rovolon, la ditta che gestisce le uniche due cave al momento autorizzate a continuare l’attività. Si trovano nel comune di Vò e sono denominate Cava la speranza e Cava Monte Altore. «Non è stata un’impresa facile, ma se volevamo garantire un futuro alla nostra azienda non c’era scelta – affermano i proprietari – Ci siamo mossi guardando altri impianti che avevano adottato già queste misure e le abbiamo riprodotte nel nostro». L’autorizzazione a coltivare lo scavo in sotterraneo è arrivata nel luglio del 2021, con un decreto del direttore regionale dell’area tutela e sicurezza del territorio e da allora è diventato realtà. Un’apposita macchina segatrice a catena si addentra all’interno del colle staccando blocchi di dimensioni maggiori rispetto a quelli a cielo aperto, e all’esterno l’effetto impattante è quasi annullato, in quanto l’imboccatura della cava viene mascherata dalla vegetazione e rumori e vibrazioni sono minimi. L’iter per arrivare a ciò non è stato facile poiché una riconversione di questo tipo richiede uno studio di fattibilità di un certo impegno, con una messa in sicurezza del fronte e delle rilevazioni sia per le polveri che per i rumori. «Ci siamo affidati a un team di esperti – spiegano i coniugi Martini – con i quali si è valutato se c’erano le condizioni per poter avviare lo scavo in galleria in modo sicuro». Le conferme sono venute soprattutto dalla geologa Annapaola Gradizzi che ha seguito lo studio come direttore ai lavori. «Anche dal punto di vista economico una cava di questo tipo presenta un vantaggio per il territorio – continuano – in quanto si prevede un incremento di assunzioni poiché, oltre che al taglio delle lastre, servono addetti al controllo della macchina in galleria». Le nuove tecniche adottate trovano il parere favorevole anche degli ambientalisti: «A nostro avviso si presenta la strategia più opportuna per garantire ancora la disponibilità di trachite da taglio – afferma la portavoce delle Associazioni ambientaliste dei colli Euganei Christianne Bergamin – Indispensabile soprattutto per lavori di interesse storico culturale come le pavimentazioni dei centri storici». D’accordo anche Gianni Sandon, che crede profondamente nella possibilità di unire le forze: «Al momento vedo la conversione in scavo sotterraneo come l’unica strada possibile per i cavatori rimasti». L’ultima parola però, spetta ora all’ente del Parco, ma è già chiara la posizione del presidente Riccardo Masin, convinto dell’importanza che questa produzione continui: «Adottando un suggerimento dell’architetto paesaggista Giulio Muratori, abbiamo indicato ai cavatori la possibilità di consorziarsi adeguando i propri impianti alla normativa regionale. Questo permetterebbe loro di garantire le operazioni di cava con sistemi innovativi di alta tecnologia». Un materiale di pregio che così può ancora far parte dell’economia euganea.
La trachite di Montemerlo è stata scelta per il restauro delle parti rovinate del duomo di Colonia, patrimonio Unesco. Gli ingegneri tedeschi incaricati hanno acquistato 15 blocchi.