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“La mattina del 4 luglio ho letto una recensione sul Guardian che mi ha gelato il sangue. Scriveva che ‘Gaza: Doctors Under Attack’ è un documentario fatto della stessa materia degli incubi, ma che il mondo deve vedere”. Da quella lettura è nato il coinvolgimento di Alberto Emiliani, faentino docente di filosofia, che ha curato i sottotitoli italiani del documentario ed è stato tra i promotori della serata faentina del 26 agosto all’Arena Borghesi (ingresso libero, inizio film alle 21), con replica il 7 settembre sempre all’Arena Borghesi. Una proiezione, che ha visto il tutto esaurito con oltre 700 persone, resa possibile grazie al sostegno di oltre quaranta associazioni del territorio, tra cui l’Azione cattolica, Agesci, Caritas, Papa Giovanni XXIII, Ami, Centro documentazione don Tonino Bello. Il 7 settembre la serata sarà introdotta da Monica Minardi, presidente di Medici senza frontiere Italia. Il film, diretto da Karim Shah, prodotto da Basement Films, affronta la sistematica distruzione del sistema sanitario nella Striscia di Gaza, con evidenze supportate dal rapporto dell’Alto Commissariato Onu per i diritti umani, che descrive attacchi contro ospedali e cliniche come parte di uno schema preordinato e ripetuto. Emergono vicende come quella dei medici Khaled Hamouda, con tragiche perdite famigliari e persecuzioni, Adnan al-Bursh, torturato e morto in detenzione. Distribuito da Channel 4 e reso disponibile globalmente tramite Zeteo a partire dal 2 luglio, il film, sottotitolato italiano, è ora disponibile anche su YouTube.
“Come faccio ora a far finta di niente?” “Molte immagini le avevamo viste a spezzoni nei telegiornali o sul web – racconta Emiliani -, ma qui le vedi tutte insieme, in un racconto organico che esplora l’affermazione contenuta nel rapporto Onu del 31 dicembre 2024: gli attacchi israeliani agli ospedali seguono una medesima struttura, volta a renderli inutilizzabili. Gli autori, inizialmente incaricati dalla Bbc, hanno raccolto testimonianze dirette, comprese voci anonime dell’esercito israeliano. È chiaro che è un documentario che presenta un punto di vista, ma tutti, anche giornali ben lontani dalla causa palestinese, come il Telegraph, concludono rimarcandone il valore nel raccontare dei medici e infermieri che lavorano in condizioni disumane per salvare le vite. Alla fine del film resti senza parole: vedi medici e infermieri catturati, spogliati, ammanettati, caricati su camion, sottoposti a torture. Il tutto senza accuse ufficiali. C’è chi racconta di operazioni chirurgiche fatte senza anestesia. È un’esperienza che ti rovescia dentro, e la domanda inevitabile diventa: come faccio ora a far finta di niente?”.
Dare voce a un dolore. È da quella domanda che Emiliani ha deciso di agire: “La sera stessa mi sono messo a fare i sottotitoli italiani del film. Il giorno dopo con Andrea Piazza – uno degli altri promotori faentini dell’iniziativa – ci siamo detti che almeno a Faenza bisognava farlo vedere. Non per un’agenda politica, ma per dare voce a un dolore che ci interpella tutti”. Attorno al progetto si è subito creata una rete. “Tra i primi a sostenerci c’è stata Isa Matulli, dell’Ami – Amici Mondo indiviso, poi Gian Marco Magnani e Simone Romboli del cineclub Il Raggio Verde, che ci hanno aiutato con il supporto dell’Arena Borghesi e aspetti tecnici. Sara Magazzino di Prometeo ha realizzato il manifesto, potente nella sua immagine di un ospedale ridotto a macerie. Poi ancora Paolo Missiroli, sempre di Prometeo. E Ihab, un ragazzo palestinese, ha revisionato i sottotitoli arabo-palestinesi”.
“È stata una mobilitazione dal basso, di persone che non vogliono limitarsi a provare compassione, ma intendono affermare principi fondamentali: il diritto alla vita, il rifiuto della tortura e della disumanizzazione”.
Faenza, punto di partenza. L’iniziativa, patrocinata dal Comune, non si ferma a Faenza. Dopo l’anteprima all’Arena Borghesi, il film sarà proiettato a Bologna, Modena, Molfetta. “La nostra città è un punto di partenza – sottolinea Emiliani -, ma la forza di questo progetto è che diventa un’occasione di coscienza collettiva, che si allarga e trova altri luoghi e comunità pronte a raccoglierla, magari con l’aiuto delle associazioni aderenti”. Emiliani cita alcuni episodi che lo hanno colpito nel documentario: “Tre famiglie vivevano nello stesso edificio con alcuni medici. Un missile israeliano ha distrutto la palazzina, e poi un drone ha attaccato i sopravvissuti scampati al crollo: tutto questo fa pensare a qualcosa di premeditato. Oppure la scena del direttore sanitario di un ospedale a Gaza: dopo aver perso il figlio in un bombardamento, si vede l’uomo con il camice bianco camminare tra le macerie verso un carro armato israeliano. È stato condannato come ‘combattente illegale’. Ricorda molto la celebre foto della piazza Tienanmen. Sono immagini che raccontano l’abisso, ma anche la dignità disperata di chi non si arrende”.
Non “contro” qualcuno. Per Emiliani la proiezione non vuole essere “contro2 qualcuno, né alimentare antisemitismo. “Non si può certo giustificare l’orrore del 7 ottobre, pur tenendo conto del fatto che è un frutto attivamente generato dalle politiche di Israele; ma la tortura e la cancellazione di un popolo perpetrata dallo Stato di Israele è un crimine di una gravità immensa; un crimine che ritenevamo impossibile dopo la Seconda Guerra mondiale, soprattutto da parte di uno Stato che si dice democratico. Il film mostra una realtà che interpella: non si tratta di discutere di geopolitica, ma di riconoscere un dolore inaccettabile. Ciascuno di noi è chiamato a difendere la dignità umana. Il primo passo è fatto dalle associazioni, che articolano la società civile, e pur nella loro diversità fanno squadra verso obiettivi imprescindibili e comuni. Non siamo soli”.
I segni di speranza. La serata, nell’anno del Giubileo della Speranza, ha portato una testimonianza difficile, ma necessaria. “Il documentario non lascia molto spazio alla speranza concreta – ammette Emiliani -, ma a volte
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la speranza la trovi nelle parole di un medico israeliano che dice: ‘mi sono vergognato di me stesso dopo aver visto un paziente operato senza anestesia’.
Questo non è che un ultimo passo della disumanizzazione del popolo palestinese che non è iniziato dal 7 ottobre, ma da decadi. In quel vergognarsi e cambiare direzione, c’è ancora un filo di umanità che resiste, così come in tutte le attività umanitarie che vengono portate avanti, nonostante tutto”. La proiezione del 7 settembre vedrà una raccolta fondi a favore di Emergency. “Non vogliamo che resti un gesto simbolico – conclude -. È un atto di responsabilità civile, così come le operazioni di boicottaggio che si possono mettere in atto contro prodotti di aziende che sostengono in maniera esplicita l’attività militare a Gaza. Senti la necessità, come essere umano, di muoverti. Perché, dopo aver visto certe immagini, non possiamo più dire: non sapevo”.