Mosaico
La lettura può farci compagnia nei caldi giorni di un’estate che rischia di rendere più pesante la solitudine del distacco familiare o semplicemente del dover rimanere a casa per i più svariati motivi. O, al contrario, per coloro che sì, stanno al mare o in montagna, ma non sanno come impiegare il tempo dell’inazione, dell’attesa o di nottate in bianco. Le notti bianche, per rimanere in tema, fanno anche da titolo a un suggestivo racconto di Dostoevskij, uno dei suoi primi capolavori dopo “Povera gente” e “Il sosia”, che fa al caso nostro, perché conserva in sé, nonostante il peso degli anni (uscì nel 1848), una freschezza insolita. È infatti la storia di un’illusione amorosa, di un incontro casuale in una San Pietroburgo notturna tra due giovani che senza saperlo si confortano l’un l’altra delle loro disavventure. Anche se la storia finirà in modo diverso da quello che ci si aspetterebbe -ma Dostoevskij non è scrittore da lieto fine- rimane nell’aria una stupenda atmosfera di speranza nella condivisione e nella gratuità dell’aiutare l’altro, anche se sconosciuto. La si trova facilmente in molte edizioni, compresa quella degli Oscar Mondadori, 2024, oppure Bur o Feltrinelli.
Ma anche la poesia, quando è veramente tale, aiuta moltissimo nei momenti critici: basterebbe leggere o rileggere “Spoon River”, capolavoro assoluto della letteratura di ogni tempo e latitudine, tanto da spingere Fabrizio De Andrè a farne un celebre disco, “Non al denaro non all’amore né al cielo” nel 1971. Le storie ispirate alle lapidi del cimitero lungo il fiume Spoon presso Lewistown sono una ulteriore testimonianza della forza della poesia: sono le vicende di medici che curano i poveri senza alcun compenso, di bimbi uccisi dalla malattia, di poveri di spirito isolati dalla tribù, di giovani massacrate dai pregiudizi, con la convinzione anti-materialista che la libertà “è libertà dello spirito/ piuttosto che del ventre”: cosa che dovrebbe farci riflettere parecchio in questi giorni di sbandierate, materiali sazietà consumistiche. Anche qui varie edizioni, dai Tascabili Einaudi a quella più recente di La Nave di Teseo.
Un consiglio a tutti, anche se appena leggerete il titolo andrete subito ai ricordi di bambini, è di approfittare della recente riedizione (da parte di Bibliotheka, con una antica prefazione di Cesare Pavese) del celebre “Robinson Crusoe” di Daniel Defoe: senza i tagli delle edizioni per ragazzi ci troviamo di fronte alla narrazione di un’epoca, quel Settecento che ci è stato tramandato con le etichette di razionalismo e illuminismo e che in questo lunghissimo ma appassionante racconto del 1719 (fu tale il successo che Defoe ne fece ben due sequel, che non ebbero però la stessa fortuna del primo) rivela molto altro: una appassionata, profonda meditazione su Dio, ad esempio, sul suo volere, sulle prove che ci pone quotidianamente davanti. Per Robinson si tratta di un naufragio su un’isola deserta al largo delle coste brasiliane e della necessità di rifondare per più di vent’anni una nuova vita da novello Adamo, come era veramente accaduto al marinaio Alexander Selkirk qualche tempo prima, in tutt’altra zona. Ricerca del senso profondo, racconto di effettivi stratagemmi per sopravvivere raccogliendo acqua, cibo e scavando trincee di difesa, manifesto di un’epoca che come tutte le età dell’uomo non è possibile catalogare e restringere con etichette assolutistiche. Siamo costantemente in trasformazione, aveva ammonito un grande filosofo cui Pirandello e Proust, e non solo loro, devono molto: Henri Bergson. Ma di questo parleremo in un’altra occasione.