Idee
Crisi demografica. Come invertire la rotta
Crisi demografica 63 Comuni veneti hanno perso un decimo degli abitanti. Le soluzioni? Assegno unico alle famiglie ed edilizia popolare per i giovani
Crisi demografica 63 Comuni veneti hanno perso un decimo degli abitanti. Le soluzioni? Assegno unico alle famiglie ed edilizia popolare per i giovani
S e ogni discorso fatto sulla crisi della natalità in Italia avesse contribuito a invertire la rotta, da qui a pochi anni assisteremmo a un nuovo boom demografico. Ma nel nostro Paese sono pochi gli interventi concreti e soprattutto certi nel tempo portati avanti da governi di colore diverso e il segno meno caratterizzerà ancora per anni il trend demografico. E il Veneto è Italia a tutti gli effetti: sono 63 i Comuni della nostra regione che hanno perso più del 10 per cento della loro popolazione tra 2011 e 2022 secondo gli studi di Gianni Saonara per Toniolo ricerche. Un’emorragia di residenti che colpisce per lo più l’area montana e il basso Veneto. I veneti che erano 4.847.745 nel 2022 caleranno a 4.777.222 al 2042 secondo la proiezione della Fondazione Think Tank, un meno 1,5 per cento. Se possiamo festeggiare oltre 1.500 veneti che hanno superato il secolo di vita, preoccupa il numero di persone in età lavorativa nella fascia 25- 55 anni, passate dal 43,5 per cento del 2011 al 38 per cento del 2022, che non saranno sostituite da quelle delle classi successive. Evidente è la «profonda alterazione della struttura demografica» secondo Veneto Lavoro: «Da un lato, la popolazione residente in Veneto da circa un decennio sta progressivamente riducendosi con un calo dei residenti tra 2009 e 2022, dall’altro il processo di invecchiamento della popolazione si è concretizzato in un progressivo sbilanciamento verso le età più avanzate a discapito delle nuove generazioni». I bambini fino a 4 anni in Veneto erano 210.216 nel 2001, sono scesi a 168.659 nel 2022 (meno 41.557). Eppure soluzioni per non ridurre ancora il numero dei residenti in Veneto e in Italia ce ne sono, suggerisce il demografo Gianpiero Dalla Zuanna: intervenire per aumentare il numero di persone in età fertile e di giovani che vivono stabilmente in coppia, aiutare le coppie ad avere il numero di figli che desiderano. Facile non è, ma si può fare. E a chiedere con forza interventi per una graduale ripresa demografica sono sempre più i titolari di imprese che fino a dieci anni fa “sceglievano i dipendenti” e che oggi cercano di mettersi in mostra per “farsi scegliere” da giovani in età da lavoro. «Per uscire da 40 anni di bassissima natalità e da un decennio in cui siamo passati da 514 mila nati nel 2013 ai 379 mila del 2023 bisogna cercare di capire perché ci sono meno nati – afferma Giampiero Dalla Zuanna – «I 200 mila nati in meno in 15 anni dipendono per metà dalla diminuzione delle donne in età fertile (meno 17 per cento tra 2009 e 2024), non “rimpiazzate” né da donne giovani né da immigrate; per l’altra metà dal dato, spesso trascurato, della diminuzione dei giovani under 35 che vivono in coppia, una diminuzione stimata del 40 per cento, in un Paese dove il 95 per cento dei bambini nascono da coppie conviventi». Per invertire la tendenza servono più persone in età fertile e più persone in età fertile che vivono in coppia. Si tratta di fare scelte politiche e non continuare con le chiacchiere. Continua Dalla Zuanna: «Necessaria è una politica delle migrazioni fatta bene, sia in entrata sia in uscita, necessario un sostegno vero ai giovani in difficoltà, soprattutto abitativa. Rispetto al primo punto tutti, anche l’attuale Governo, parla della necessità di modificare la legge “Bossi-Fini” ormai anacronistica e ha aumentato gli ingressi di lavoratori stranieri per la spinta fortissima delle imprese che devono attrarre forza lavoro. Si è passati da 30 mila a 150 mila permessi lavorativi. E quando il lavoratore arriva e si stabilizza, poco dopo cerca il ricongiungimento familiare. Sul sostegno ai giovani un allarme è la totale carenza di piani di edilizia popolare (non se ne fanno dall’epoca di Fanfani, anni Cinquanta), chi cerca un alloggio popolare si mette in coda per anni e chi cerca una casa in affitto si sente chiedere cifre impossibili da sostenere, in particolare in città come Padova».
Secondo il demografo, il legislatore dovrebbe favorire i proprietari di case con norme che li tutelino, perché oggi molti temono di non riuscire a tornare in possesso della loro proprietà al termine del contratto di locazione e preferiscono tenere l’alloggio sfitto o orientarsi sulle redditizie locazioni turistiche brevi. Un cambio di mentalità va fatto anche in relazione alle retribuzioni che oggi non sono adeguate al costo della vita e a carriere determinate più dalle competenze che dall’età, con il risultato che il nostro Paese non è attrattivo per i giovani europei e dall’Italia se ne vanno quelli che possono trovare stipendi più alti e più facili progressioni in carriera, non solo laureati. Ci sono però anche scelte che stanno incidendo davvero e che andrebbero sostenute e altre che hanno a che fare con un cambio di mentalità per il quale si possono imitare provvedimenti introdotti in altri Paesi. «Molto concreta è la misura dell’assegno unico. Oggi i figli costano di più in termini relativi, soprattutto il 2° e il 3° figlio e ci si pensa molto prima di averli. Introducendo l’assegno unico, assegnato per l’esistenza del figlio e secondo scaglioni in base al reddito (da un minimo di 57 euro a un massimo di 200 euro al mese dal settimo mesi di gravidanza ai 18 anni o ai 21 in certe condizioni, ndr) si sono messe sul piatto risorse vere, cifre sicure sulle quali i genitori possono contare fino alla maggiore età dei figli. Si tratta di cifre importanti, 6 miliardi di euro a favore delle famiglie con figli, per una misura introdotta all’unanimità dal Parlamento e mai messa in discussione». L’Italia rimane indietro rispetto ad altri Paesi europei relativamente alle norme che permettono di conciliare al meglio vita professionale e crescita dei figli. L’aspetto educativo è ancora spesso lasciato sulle spalle delle donne: «Nella società post moderna fare figli e lavorare devono essere conciliati, anche perché le statistiche ci dicono che sono proprio le coppie con due genitori che lavorano quelle che mettono al mondo più figli. In Spagna, per esempio, i congedi parentali sono distribuiti in modo uguale ai due genitori e non sono interscambiabili. In questo modo anche i papà devono da subito iniziare a farsi davvero carico dei figli. È una legge che indirizza verso un modo paritario di essere genitori e che fa bene alla società, ai bambini, alle donne e agli uomini».
Secondo Fondazione Nordest, centro di ricerca di Confindustria, il Veneto è in una glaciazione demografica: significa che entro il 204o, perderà 387 mila abitanti, l’8 per cento degli attuali residenti. L’immagine utilizzata dalla fondazione è come se Padova, Vicenza e Treviso fossero svuotate dei loro abitanti. I veneti scenderanno così dai 4,8 milioni del 2023 ai 4,4 del 2040.
In Veneto, come nel resto del Paese, si è raggiunto un nuovo record di denatalità. Secondo l’ultimo censimento Istat pubblicato lo scorso maggio e risalente al 2022, i nati sono 31.754 (meno 1.045 rispetto al 2021). L’età media si è innalzata rispetto al 2021 da 46,4 a 46,6 anni. Verona e Vicenza sono le province più giovani, Rovigo e Belluno quelle più anziane (49,1 e 48,7 anni).