Capita a volte che i pregiudizi si incontrino e si annullino a vicenda. Alle Cucine economiche popolari è successo con i Pcto (Percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento) dei sessanta studenti delle superiori, provenienti da cinque istituti scolastici: Selvatico, Cornaro, Curiel, Duca d’Aosta e Barbarigo. Il primo luogo comune che hanno avuto l’occasione di sfatare è quello sugli ospiti delle Cucine. «Mi porto a casa uno sguardo diverso sulle persone che vivono in strada – è l’opinione di Giacomo – Non sono come pensavo. Ho capito che dietro ogni volto c’è una storia, spesso difficile, ma anche dignitosa. Non ho aiutato solo io loro: in realtà, mi hanno aiutato anche loro a vedere le cose in un altro modo». Altro pregiudizio molto diffuso riguarda proprio i giovani, spesso dipinti come apatici e pigri. «Bisogna saper andare oltre – sorride suor Annamaria Saponara, che li segue nel loro percorso – Il bene nei giovani bisogna cercarlo e avere occhi aperti per riconoscerlo. I segni di speranza ci sono. Ma del bene non si parla mai. Dei ragazzi che vengono qui non si parla. Invece alcuni chiedono di poter continuare a fare servizio anche dopo il Pcto e ora sono tra i nostri volontari». Il progetto prevede alcuni incontri propedeutici nelle scuole, dove si parla di pregiudizi e stereotipi. Poi, il primo giorno, viene presentata la realtà delle Cucine in maniera più approfondita: la storia, i servizi, le modalità. «Spieghiamo agli studenti cosa andranno a fare e che non saranno soli» sottolinea suor Saponara. Poi dalle 11.30 alle 13.30 gli studenti svolgono il servizio di distribuzione del pranzo e alle 13.30 si siedono a tavola e mangiano con gli ospiti. Dopo il pranzo e le pulizie, c’è un incontro di gruppo per rileggere quello che è successo, per capire se ci sono stati momenti critici e quali riflessioni il servizio ha suscitato in ciascuno di loro. All’inizio della settimana, viene chiesto ai ragazzi di esprimere per iscritto le loro aspettative. «Mi colpisce il fatto che spesso ci sia la paura di dover affrontare e gestire situazioni complicate o conflittuali, in una realtà percepita come molto difficile, a volte pericolosa. Mentre in realtà qualcuno, alla fine del percorso, ha definito le Cucine come un posto molto tranquillo, dove le persone si sentono accolte e dove loro stessi si sono sentiti accolti, oltre che dai volontari, anche dagli ospiti. I ragazzi sono molto aperti. Di solito prendono parte volentieri all’esperienza che fanno e ci entrano con tutti loro stessi. Non hanno pregiudizi. I loro timori sono legati piuttosto alla paura di sbagliare, di non fare un buon servizio. Ma per loro è più facile entrare in relazione con gli ospiti» conclude la religiosa. E infatti, Emanuele osserva: «Mi ha colpito il modo in cui siamo riusciti a fare gruppo, anche se venivamo da scuole diverse. Ma soprattutto mi porto via l’idea che si può imparare tanto facendo, mettendosi in gioco. All’inizio ero un po’ spaesato, poi ho trovato il mio posto. E penso che questo valga per tutti». Beatrice la definisce “una palestra di cittadinanza”: «È stata una settimana molto intensa, e anche stancante, ma non la dimenticherò. Ho capito che impegnarsi per gli altri non è beneficenza, è partecipazione. Abbiamo parlato anche di conflitto e relazioni: cose che servono ovunque, non solo alle Cucine. Mi sento cresciuta, anche solo in cinque giorni». Alessia mette l’accento sull’umanità: «Non pensavo che bastasse così poco per fare la differenza. Stare un po’ di tempo con le persone, parlare, ascoltare, servire un piatto… e invece sì, lascia il segno. Ho capito che l’ascolto e la gentilezza sono parte della cura, forse la parte più importante. Non era solo “un compito da svolgere”, ma un’esperienza di umanità».
”Segni di speranza” è il titolo del bilancio sociale 2024 delle Cucine popolari. «È una speranza concreta, fatta di storie, di attività e iniziative realizzate insieme, lavorando con altri e collaborando – scrive il presidente della Fondazione Nervo Pasini, don Luca Facco – Molte sono le difficoltà e le sfide che quotidianamente ci troviamo ad affrontare, dall’aumento delle tante e diverse forme di povertà, alla convivenza e all’integrazione di persone immigrate, dal disagio diffuso all’ingiustizia sociale. Se le guardiamo e le affrontiamo da soli, ci sembra un’impresa impossibile; invece, insieme, anche le sfide più grandi diventano possibili. La speranza si alimenta nella collaborazione e la collaborazione genera speranza». Info: fondazionenervopasini.it