Cure palliative solo per un malato su tre. Per le persone con demenza le cure palliative sono una risorsa ancora troppo poco attivata: solo il 35% dei caregiver ha potuto contare su questo servizio per il proprio familiare, nonostante oltre la metà di chi non ne ha beneficiato ritenga sarebbero state utili sia per il malato (57%) sia per loro stessi (51%). È quanto emerge da Il peso della cura, ricerca promossa da Vidas – organizzazione che dal 1982 ha assistito gratuitamente 45mila persone con malattie inguaribili – e condotta da Ipsos per indagare il vissuto di chi assiste persone con demenza: familiari caregiver, medici e infermieri. Secondo l’indagine
le cure palliative, oggi accessibili solo a una minoranza, sono invece fondamentali per migliorare la qualità della vita lungo tutto il decorso della malattia.
Ostacoli come mancanza di informazione (al 31% degli intervistati nessuno ha proposto le cure palliative, il 13% non sa della loro esistenza), difficoltà logistiche, tra cui lunghe liste d’attesa e distanza geografica (6%), e una percezione errata delle cure palliative (10%), perlopiù ancora associate solo alla fine della vita, ne impediscono una piena fruizione. Eppure, queste terapie possono fare la differenza per la presa in carico di patologie neurodegenerative come la demenza, grazie a un approccio che supporta non solo il paziente ma l’intera famiglia, con équipe multidisciplinari formate da medici, psicologi, infermieri, assistenti sociali.
Bisogno crescente e diffuso. “Complessivamente, dal 2019 al 2024 i nostri pazienti colpiti da patologie non oncologiche, tra cui la demenza, sono aumentati in modo significativo, passando dal 11% al 26% – afferma Antonio Benedetti, direttore generale Vidas –. Oggi, 1 paziente su 4 convive con una malattia cronica. Questa evoluzione impone un ripensamento dell’assistenza:
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servono cure palliative capaci di accompagnare percorsi lunghi e complessi, per rispondere con competenza e umanità ai bisogni di pazienti e caregiver”.
Barbara Rizzi, medico palliativista e direttrice scientifica Vidas, aggiunge: “Nel 2024 abbiamo assistito oltre cento persone con demenza, l’85% delle quali a domicilio. Considerando tutti i pazienti adulti non oncologici seguiti nell’anno, oltre un quarto in hospice (26,8%) e più di uno su cinque a domicilio (22,1%) convivevano con la demenza. Numeri che evidenziano un bisogno concreto di cure palliative anche per chi convive con questa patologia”.
La ricerca di Vidas/Ipsos, condotta a livello nazionale su un campione di 1.400 cittadini e 300 tra medici e infermieri, fotografa infatti
un’Italia dove il bisogno di assistenza nella demenza è crescente e diffuso.
Il 68% degli intervistati conosce personalmente almeno una persona con demenza e nel 37% dei casi si tratta di un familiare.
Caregiver soli e senza supporto. Dall’indagine emerge che il 43% di chi ha un familiare malato ha assunto direttamente il ruolo di caregiver. Tra questi, oltre 7 su 10 si sono presi cura della persona a casa, spesso da soli e senza adeguati aiuti economici. Il carico cresce con l’avanzare dei sintomi: nelle fasi più gravi, il 45% dei familiari assiste il proprio caro in modo continuativo h24. Ne risente la qualità della vita: il 75% denuncia un impatto negativo sulla conciliazione lavoro-famiglia, il 72% sulla propria socialità, il 68% sulla salute mentale.
Risorsa preziosa ma non per tutti. Secondo medici e infermieri, le cure palliative sono un diritto per le persone con demenza. La maggior parte dei medici, in particolare, le considera fondamentali per migliorare la qualità della vita dei pazienti (61%) e molti infermieri per il trattamento del dolore (48%). Tuttavia, solo poco più della metà dei medici le ha attivate per le persone con demenza nell’ultimo anno. In 1 caso su 4 si rileva l’impossibilità di attivazione del servizio all’interno della regione/Asl. Inoltre, per il 56% dei medici e il 68% degli infermieri, le cure palliative vanno avviate solo nelle fasi avanzate o terminali. Ma un medico su tre ritiene invece che l’attivazione debba avvenire fin dalla diagnosi. Per i medici,
il principale ostacolo nel proporre le cure palliative a persone con demenza è la scarsa informazione su loro scopo e utilità (47%),
seguito dalla difficoltà di accesso (32%) e di farne capire l’utilità a pazienti e familiari (24%). Ciò che potrebbe aiutare il medico nella proposta è la presenza di un maggior numero di équipe in grado di offrire consulenza (51%), più servizi assistenziali sul territorio (50%) e avere a che fare con cittadini più informati (45%).
“Il personale medico è in generale consapevole dell’importanza delle cure palliative ma spesso ha difficoltà a valutare il momento migliore per attivarle, che ancora in troppi casi è identificato con le fasi terminali. Esiste un gap culturale che verrà pian piano colmato”, dichiara Nicola Montano, ordinario di Medicina interna presso il Dipartimento di scienze cliniche e di comunità dell’Università degli studi di Milano, Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, ricordando che le scuole di specializzazione in cure palliative sono nate solamente tre anni fa.
Pianificazione condivisa. Secondo Vidas, la demenza, con il suo decorso lungo e progressivo, richiederebbe un’attenta pianificazione delle cure: un processo condiviso tra persona malata, familiari e équipe sanitaria per definire insieme scelte di cura coerenti con desideri, valori e qualità di vita della persona. Eppure, si tratta di uno strumento ancora poco diffuso. Solo al 21% degli assistiti è stata proposta una pianificazione condivisa delle cure (Pcc). D’altra parte, solo il 19% dei pazienti ha scritto le Disposizioni anticipate di trattamento (Dat) prima di ammalarsi. Uno strumento che, secondo l’80% dei caregiver intervistati, ne migliorerebbe assistenza e qualità di vita.