La trasformazione digitale in atto offre alla Chiesa una grande opportunità per riscoprire uno dei punti della nostra fede meno sottolineati e considerati, malgrado la proclamazione ufficiale nel Credo durante le Messe e le preghiere: la risurrezione della carne.
L’impatto della tecnologia digitale sta infatti provocando un fenomeno nuovo e preoccupante: la rarefazione della carne. Grazie alla possibilità di codificare tutto con un linguaggio digitale fatto di infiniti zero e uno, stiamo rendendo meno necessaria la carne, cioè i corpi: possiamo vederci senza incontrarci, ascoltarci senza alcuna vicinanza fisica, anche fare sesso a distanza (come i nostri ragazzi sperimentano ormai con una certa frequenza). Se questa possibilità è stata una grazia al tempo del lockdown (provate a immaginare quelle terribili settimane senza video chiamate, scuola e lavoro online), ora la questione appare più problematica: il corpo appare troppo impegnativo per le relazioni, meglio usare avatar e rappresentazioni di noi stessi; meglio mettere uno schermo di mezzo.
Anche l’intelligenza artificiale pone un serio problema di corpi: l’intelligenza umana è strettamente connessa con il cervello, un organo fisico. È una intelligenza necessariamente incarnata (in barba a tutti i dualismo che hanno spesso contrapposto corpi e intelletti) e questo dettaglio non è per nulla secondario. Qui sì, si evidenza una delle più significative differenze tra le du intelligenzee. Forse addirittura si capisce perché abbiamo propri sbagliato a chiamare intelligenza questo sistema tecnologico.
La tentazione di fare a meno della carne ha invaso anche la pratica religiosa, anche qui in parte grazie al Covid. Finito il lockdown che certamente giustificava il fenomeno, abbiamo continuato a fare le messe su Youtube: a ridurre cioè un’assemblea che mangia insieme la cena del Signore a uno spettacolo cui si assiste più o meno devotamente comodamente seduti (e magari anche soli) sul divano di casa. Senza mangiare nulla, senza abbracciarsi per lo scambio di pace, senza chiacchierare sul sagrato della chiesa dopo la celebrazione.
Tutti (?) preoccupati della salvezza dell’anima (che non è citata nel Credo), ci stiamo perdendo i corpi, e la forma concreta della fraternità che essi impongono e offrono.
Nel tempo della rarefazione digitale della carne, la comunità cristiana può e deve riannunciarne con forza la sua destinazione all’eternità, ovvero la centralità mai insuperabile dei corpi, delle individualità, dei limiti e delle risorse, della concretezza fisica dell’esperienza umana.
Lo dobbiamo e lo possiamo fare perché nasciamo da un evento di incarnazione (cosa fa Dio quando vuole mettere mano a questa umanità disgraziata? Si fa carne!). Lo dobbiamo e lo possiamo fare per quel corpo vivo e piagato di Gesù risorto che continua a offrire la speranza di una vita piena, cioè incarnata.
Potremmo dire così: tra le sfide che l’intelligenza artificiale impone alla Chiesa c’è esattamente la custodia della carne. Una cura da non dimenticare nelle pratiche ecclesiali ordinarie, un servizio che possiamo offrire a un mondo tentato dalla fallace comodità di poterne fare a meno.