IdeeOltre 100 milioni di euro di danni per le forti piogge di inizio novembre. I bacini di laminazione limitano i danni, ma il Veneto continua a consumare il suolo: l’acqua così non viene assorbita
«Dall’alluvione ne veniamo fuori con le ossa parzialmente rotte. Abbiamo quantificato circa 100 milioni di euro di danni». Le parole sono del presidente della Regione Luca Zaia, durante il punto stampa di martedì 7 novembre, in riferimento ai forti temporali, venti e piogge che hanno sferzato il Veneto nei primissimi giorni di novembre. Scuole chiuse, danni ingenti a cui si sommano 32 frane in zone collinari. Una ciclicità beffardamente consueta su cui riflettere anche in relazione alla capacità di prevenire, di reagire, ma anche di quanto il terreno riesca a drenare l’acqua piovuta in eccesso. Ecco perché i dati sul consumo di suolo e cementificazione continuano a essere preoccupanti. La relazione pubblicata il 25 ottobre dall’Ispra, l’Istituto per la protezione e la ricerca ambientale interna al ministero dell’Ambiente, parla chiaro: nel 2022 il Veneto resta al secondo posto tra le Regioni italiane che più hanno sacrificato terreni agricoli e zone verdi all’edilizia residenziale e artigianale, con un 11,88 per cento di terra consumata. In vetta alla non lusinghiera classifica si piazza sempre la Lombardia con il 12,16 per cento, ben inteso però che quest’ultima si estende su una superficie maggiore. Se invece si guarda all’aumento percentuale del consumo nel periodo compreso tra il 2006 e il 2022, il prospetto dà il “primato” alla nostra Regione con una crescita dello 0,71 per cento. In cifre assoluti, si tratta di 217.825 ettari complessivamente consumati. Il tutto peraltro con differenze significative tra le varie province: minore in quelle montane, massimo in quelle di Padova e Treviso rispettivamente con un 18,7 e un 16,7 per cento del territorio.
Questi e altri numeri sono stati ripresi dalle associazioni ambientaliste, le quali contestano energicamente la situazione vigente. In particolare si è fatta sentire la sezione regionale di Legambiente: «Si persiste a costruire qua e là, senza preoccuparsi del fatto che gli immobili vengano utilizzati o meno – spiega Luigi Lazzaro, che della sezione veneta è presidente – E intanto il territorio regionale perde in media tra i 700 e gli 800 ettari all’anno, tendenza che non accenna a cambiare in meglio». Il problema parte a monte, soprattutto dalla normativa: «Esistono poche vere leggi a tutela. La Regione Veneto in realtà ne aveva messa a punto una, la legge regionale 14/2017, per contenere il fenomeno in atto e arrivare a zero consumi entro il 2050. Ma subito dopo ha inserito così tante deroghe da renderla in larga parte inapplicabile e inefficace. E le lottizzazioni non sono diminuite, anzi. Con tutti i rischi annessi che ne comporta la realizzazione in aree a rischio idrogeologico: con il maltempo degli ultimi giorni abbiamo visto cosa vuol dire costruire vicino a zone golenali, soprattutto in altre parti d’Italia. Oltretutto a beneficio di chi? Con questo calo demografico generalizzato e l’elevata disoccupazione, tante case e capannoni restano sfitti». Ma Lazzaro ricorda bene che al di là della normativa ci sono determinati approcci e mentalità: «Non è stato incoraggiato a sufficienza il recupero o l’utilizzo di energia pulita, che pure può influire sul consumo di suolo. In alcuni casi con argomenti paradossali, vedi l’ostracismo verso l’applicazione del fotovoltaico nei terreni agricoli: da più parti si diceva che i pannelli avrebbero tolto centinaia di metri quadrati ai campi coltivati, ma ci si dimenticava della reversibilità, cioè che quei campi sarebbero tornati utilizzabili per l’attività agricola dopo massimo vent’anni. Questo, a differenza di un capannone industriale o di un condominio, e con in aggiunta il fatto di essere meno dipendenti dall’estero per i combustibili fossili». Lazzaro si scaglia anche contro le grandi opere, in particolar modo «penso agli effetti sull’urbanistica da parte della Pedemontana o della Via del Mare prossima alla realizzazione, quando invece da decenni auspichiamo un potenziamento dei trasporti pubblici».
Proprio dalla valutazione delle opere pubbliche parte la risposta della Regione, affidata all’assessore con delega all’Urbanistica Cristiano Corazzari: «Al di là del fatto che le abbiamo ereditate da gestioni passate, possono migliorare di molto la qualità della vita di cittadini e imprese: solo come esempio, avete presente i disagi che c’erano prima dell’apertura del passante di Mestre? Tra l’altro dovrebbero essere espunte se vogliamo effettuare un corretto conteggio sul consumo di suolo, perché fanno impennare il numero di metri quadri sottratti al verde». Quindi entra nel merito degli aspetti normativi, tra i punti più sotto l’indice. «In mancanza di leggi nazionali siamo stati i primi in Italia a introdurre una norma per contenere il consumo. Ci sono state tante deroghe, è vero, ma si trattava della fase iniziale in cui volevamo evitare di paralizzare le attività economiche. Adesso puntiamo comunque a porre maggiori restrizioni, secondo le strategie che ci eravamo dati a suo tempo con l’elaborazione del piano Veneto Sostenibile». Il piano nasce in ottemperanza dell’Agenda 2030 e dei suoi obiettivi. «Ne abbiamo discusso di recente in Giunta e nella seconda commissione consiliare, che include i referenti per le politiche di territorio: andiamo pertanto verso gli obiettivi prefissati del riuso dei fabbricati, del miglioramento dell’esistente, della rigenerazione del terreno sottostante. In questo passaggio ci muoveremo attraverso gli Sportelli unici delle attività produttive (Suap) come previsto da un progetto di legge del 2022». Nella fattispecie, i Suap definiscono consumo di suolo quegli ampliamenti che sforano il limite di 10 mila metri quadrati di superficie fondiaria. E nel contempo riuscirebbero a venire incontro in tempi rapidi alle esigenze di molte aziende. Un sistema che nel complesso funziona, secondo Corazzari. «Tra le varie cose, abbiamo limitato l’espansione di certe zone industriali comunali che avrebbero sforato i limiti prefissati». Infine sulla parte che riguarda la sicurezza idrogeologica, l’assessore dispensa ulteriore ottimismo: «C’è la Carta della pericolosità idraulica che valuta e monitora i potenziali rischi. Inoltre i tragici eventi del 2010 hanno incoraggiato la realizzazione di interventi di contenimento in tutti i punti più critici».
«Se possiamo affermare di aver retto l’urto dell’ondata di maltempo è sicuramente grazie alla precisione dei modelli matematici previsionali e alle opere messe in cantiere nel 2010 con uno stanziamento di oltre due miliardi di euro, come per esempio i bacini di laminazione di Caldogno, Montebello e Muson a Riese». Il presidente Luca Zaia riconosce i meriti degli interventi sostenuti in questi anni, dopo l’alluvione del 2010: i corsi d’acqua sono stati “alleggeriti”, infatti, grazie ai bacini di laminazione, grandi vasche che ne ricevono l’acqua quando comincia a diventare troppa. Quello di Caldogno, a nord di Vicenza, frena il torrente Timonchio che ingrossa poi il Bacchiglione. È una delle opere costruite dopo l’alluvione del 2010 ed è entrato in funzione per la seconda volta, dopo il dicembre del 2020. La Regione ha predisposto un piano per costruire o adattare 23 invasi.
Da una prima stima, in Veneto, si parla «di almeno 100 milioni di euro di danni e 500 milioni di euro di opere di diaframmatura necessarie per garantire sempre maggiore sicurezza al nostro territorio». Dai primi censimenti, ancora in corso mentre andiamo in stampa nel pomeriggio di martedì 7 novembre, sono rilevanti i danni anche alle spiagge che, in alcuni casi, afferma Zaia «sono state letteralmente spazzate via dalle mareggiate. Ad esempio a Bibione su sette chilometri di costa c’è stata un’erosione del fondo sabbioso di 40 centimetri, per un totale di danni stimati al momento di 4 milioni di euro a Bibione spiaggia e 1,5 milioni di euro a Bibione Pineta». Allo stesso modo sono stati danneggiati anche i litorali di Jesolo, Caorle, Eraclea Mare, Rosolina, Sottomarina, Chioggia e le altre località della costa veneta.
L’assessore Cristiano Corazzari si esprime anche sul fotovoltaico, citando un provvedimento regionale dell’anno scorso e rispedendo al mittente le critiche. «Abbiamo elaborato una serie di regole per sistemarlo sui tetti di case, stabilimenti artigianali e aree degradate. Per noi è più proficuo rispetto all’ipotesi di piazzare pannelli in ogni dove».
