Chiesa
La diplomazia della Santa Sede è spesso avvolta da un’aura di riservatezza e autorevolezza, ma dietro ai protocolli ufficiali si cela una visione pastorale che cerca ascolto, prossimità e pace tra i popoli. Mons. Patrick Valdrini, professore emerito della Pontificia Università Lateranense e rettore emerito dell’Università cattolica di Parigi, ne traccia i contorni e spiega come la Santa Sede possa rimanere fedele al Vangelo anche nella complessità degli scenari geopolitici.
Oltre il protocollo e le formule ufficiali, cosa definisce l’essenza più autentica della diplomazia della Santa Sede?
La Santa Sede è il nome con cui la Chiesa si presenta presso i governi e nelle grandi istanze dette multilaterali, attraverso rappresentanti del Papa chiamati legati pontifici. Ma la loro funzione non è soltanto diplomatica. Essa è anche, e secondo i testi innanzitutto, una presenza del Papa nelle comunità locali. Senza dubbio, i fedeli dovrebbero riscoprire la fortuna che ha la Chiesa – e le comunità a cui appartengono – di avere, presenti sul loro territorio, un rappresentante del Papa, che è il principio dell’unità di tutta la Chiesa, e, attraverso di lui e della Santa Sede, di poter essere interlocutori dei poteri pubblici a livello nazionale e internazionale, valorizzando il ruolo delle comunità locali.
Cosa ha potuto apprendere dal confronto tra la laicità dello Stato francese e la presenza della Santa Sede nei contesti istituzionali?
Ho svolto per due anni il ruolo di consigliere culturale presso il Quai d’Orsay, un periodo breve ma sufficiente per sperimentare il fatto che uno Stato laico come quello francese trova un interesse nel mantenere buone relazioni con la Santa Sede. Questo interesse si manifesta nella
volontà reciproca di pacificare i rapporti con la Chiesa ma, ancor di più — e forse questo è il punto essenziale — nel considerare la Chiesa cattolica come un interlocutore e un partner nell’attività internazionale.
Concretamente, ho visto nell’Ambasciata in cui mi trovavo un luogo di scambio di punti di vista, di reciproca informazione e di ricerca di comprensione tra la Santa Sede, cioè la Chiesa cattolica, e lo Stato francese.
Che cos’è il Quai d’Orsay?
Il Quai d’Orsay è il nome con cui viene comunemente indicato il Ministero degli Affari esteri francese, dal nome della strada parigina su cui si affaccia la sua sede storica. È il cuore della diplomazia francese e coordina le relazioni internazionali della Repubblica. Il ruolo di consigliere culturale, che vi opera sotto l’autorità dell’ambasciatore, favorisce il dialogo tra la Francia e i suoi interlocutori ecclesiali, culturali e istituzionali.
Quali elementi rendono credibile e unica l’azione della Santa Sede come mediatrice nei conflitti internazionali?
I funerali di Papa Francesco e la messa di apertura di Papa Leone hanno mostrato in modo provvidenziale sia ciò che è la Santa Sede sia il suo ruolo nel mondo internazionale. In occasione di eventi propri della Chiesa — la morte e l’elezione del vescovo di Roma, Pastore della Chiesa universale — si è potuto constatare quanto grande sia l’autorità morale, l’autorevolezza della Chiesa, con le sue caratteristiche peculiari di comunità “disarmata e disarmante”, poiché la sua azione è prima di tutto quella della parola e della partecipazione alle relazioni internazionali con la preoccupazione dell’unità e della pace.
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La Santa Sede non ha altro interesse se non quello che la Chiesa afferma nel suo messaggio spirituale, noto a tutti: che gli uomini possano realizzare su questa terra una comunità in cui vivere dignitosamente.
Con l’affermarsi dei nuovi media, quali sono le sfide e le responsabilità che attendono la comunicazione istituzionale della Santa Sede?
Tutte le istituzioni si trovano ad affrontare lo stesso problema. Le informazioni passano sempre meno attraverso i media tradizionali e circolano senza che se ne conosca la fonte. Nessuno sfugge alle condizioni create da questo nuovo modo di comunicare. Ciò rafforza il bisogno di competenze e professionalità da parte della Santa Sede, la chiarezza del messaggio, e anche la verità, poiché molte informazioni sono false o manipolate. Leone XIV ne ha fatto il tema del suo discorso agli operatori della comunicazione il 12 maggio scorso.
Leone XIV agli operatori della comunicazione
Nel discorso pronunciato il 12 maggio 2025 nell’Aula Paolo VI, Leone XIV ha ribadito l’importanza di una comunicazione “disarmata e disarmante”, capace di uscire dalla logica della contrapposizione e dell’odio. Ha chiesto ai giornalisti di farsi promotori di verità, giustizia e dialogo, mettendo al centro l’ascolto, la responsabilità e la dignità umana. Un appello forte, soprattutto nell’era digitale, per costruire ambienti che generino pace e libertà.
Quali competenze e qualità personali ritiene indispensabili oggi per un diplomatico della Santa Sede, in un mondo segnato da rapide trasformazioni?
La Santa Sede stessa ha risposto a questa sfida — fondamentale — della formazione dei futuri diplomatici, riformando recentemente la Pontificia Accademia Ecclesiastica.
Ci si aspetta dalla Chiesa una competenza tale nei suoi diplomatici da renderli interlocutori credibili tra coloro che operano nel mondo diplomatico internazionale.
Il chirografo del Papa descrive le qualità dei suoi diplomatici, che riguardano innanzitutto il campo specifico in cui esercitano le loro funzioni. Ma il Papa desidera soprattutto che i diplomatici possiedano qualità personali ispirate al modo evangelico di vivere, come la prossimità, l’ascolto e la coerenza della testimonianza.
Come può la Santa Sede custodire la propria missione evangelica senza cedere alla logica del potere o dell’immagine?
Ricordo l’insistenza del card. Jean-Louis Tauran sul fatto che la funzione del diplomatico nella Chiesa fosse “pastorale”. Questa qualifica può sembrare strana, poiché essere diplomatico è un’attività che obbedisce a regole operative difficilmente comparabili a quelle di un parroco. Tuttavia, egli desiderava che l’azione dei diplomatici della Santa Sede avesse una finalità spirituale. Il testo di riforma di Francesco citato in precedenza evoca per l’azione diplomatica il modello di Cristo “Buon Pastore”.
Il chirografo di Francesco sulla diplomazia vaticana
Con il Chirografo del 25 marzo 2025, Papa Francesco ha riformato la Pontificia Accademia Ecclesiastica, trasformandola in un Istituto ad instar Facultatis per le Scienze Diplomatiche. Il documento sottolinea il carattere pastorale del servizio diplomatico, radicato nella testimonianza evangelica e nello spirito del “Buon Pastore”. Il Papa richiede ai futuri rappresentanti pontifici non solo competenza giuridica e culturale, ma qualità umane come prossimità, ascolto, umiltà e dialogo, affinché siano segni concreti della vicinanza del Vescovo di Roma alle Chiese locali e agli scenari internazionali.