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Chiesa IconChiesa | In dialogo con la Parola

mercoledì 28 Marzo 2018

Domenica di Pasqua *Domenica 1 aprile

Giovanni 20, 1-9

Redazione
Redazione

Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.

Andare, vedere, credere

Maria la Maddalena è la prima che appare in scena nel vangelo di Pasqua, ed è stata probabilmente l’ultima a lasciare quella scena. Lei ha seguito il Signore passo passo durante tutto il percorso della passione. Era lì con lui nel momento della morte. E ha voluto seguirlo anche nei momenti successivi: quando è stato tolto dalla croce e sistemato dentro il sepolcro di Giuseppe di Arimatea. È rimasta lì fino a quando hanno chiuso la porta del sepolcro. Il suo affetto ha bisogno di concretezza, ha bisogno di particolari tangibili. Ha bisogno di vicinanza. 

Gesù le è stato vicino, e lei sente di dover ricambiare questa vicinanza. Non riesce a staccarsi da dove trova la presenza fisica del corpo di Gesù. Visto che quello le rimaneva di quell’uomo, di quello andava in cerca. È quell’affetto che quando ci viene a mancare una persona cara ci spinge a guardare le sue cose, a toccarle, a percepirle in maniera del tutto diversa, con delle sensazioni che nessuna mente riuscirebbe a spiegare. Gli oggetti che sono stati importanti per i nostri cari divengono per noi come dei veri e propri sacramenti, dei segni che ci restituiscono la presenza di un bene di cui in quel momento sentiamo una disperata mancanza. Ma questo affetto non dà pace a Maria. È rimasta poche ore lontana da Gesù. Non aspetta neanche che finisca la notte per tornarvi e lo cerca quando è ancora buio. Ma al buio, non si vede bene, e si va dove la memoria riesce a portarci. Non si distingue bene, e il nuovo non lo si capisce. La tomba aperta allora subito è vista come un furto: «Hanno trafugato il corpo del mio Signore», questo pensa Maria quando vede il sepolcro vuoto. Il tenue chiarore prima dell’alba è insufficiente a illuminare i nostri passi, che brancolano letteralmente nel buio. E allora recuperiamo quello che la nostra memoria ricorda. È come quando si entra in una stanza di casa al buio: se ci fosse dentro qualcosa di nuovo ci chiederemmo cosa mai potrebbe essere, ma senza luce non saremmo in grado di capirlo, perché la nostra memoria ci riporterebbe sempre a quello che lei conosce. Serve la luce per vedere la novità, serve unire qualcos’altro all’affetto.

Maria corre dai discepoli a riferire quanto ha scoperto e trova Pietro e Giovanni. Appena i due sentono, corrono. E Pietro si muove con l’affetto unito alla ragione. E questo connubio gli permette di fare un passo in avanti rispetto a Maria. Maria aveva visto, Pietro osserva. Pietro guarda, scruta, si interroga. Riflette, pondera, cerca di capire là dove le cose non quadrano. Sì, è vero, il corpo di Gesù non c’è, potrebbero averlo trafugato, ma… quali ladri avrebbero preso il sudario, lo avrebbero ben piegato, e sistemato ai piedi dei teli? E poi, perché lasciare lì i teli? Se i teli sono lì, vuol dire che non servono più… ma è possibile? È l’affetto che si unisce alla ragione, alla logica, alla ponderatezza. È quell’affetto che ci spinge a vedere quando nell’altro c’è qualcosa che non va, quando l’altro è diverso, quando l’altro fa qualcosa di diverso. È quella logica che ci spinge verso gli altri con delle motivazioni: posso fare questa cosa per lui perché se lo merita; posso perché per me ha già fatto tanto; posso perché mi è sempre stato vicino; posso perché è un modo per dirgli grazie. Però è anche quella logica che spesso ci fa mettere insieme tante domande senza tutte le risposte. 

È l’affetto che ha spinto tante volte Pietro a mettersi sui passi surreali di Gesù non arrivando però mai alla fine, perché si fidava sì, ma non smetteva di fare i suoi conti. Ha camminato un po’ sulle acque, ma a un certo punto i suoi pensieri lo fanno sprofondare; dice per primo che Gesù è il cristo, ma subito dopo non ne capisce la natura perché non corrisponde ai suoi progetti. Pietro osserva, mette tutti i dati davanti a sé, ma non trae la giusta conseguenza. Non vede la novità, pur avendone la possibilità. Si accorge solo che i conti non tornano, perché i dati che ha in mano non riesce a spiegarseli, ma non va oltre le spiegazioni che la sua logica gli offre, quindi si perde l’unica che ci poteva stare.

Infine arriva Giovanni, il quale vede, osserva e crede! A differenza degli altri riesce ad arrivare fino a comprendere quella novità che finalmente il Cristo è venuto a portarci. Perché Giovanni rappresenta l’amore. Giovanni è colui che ci ha lasciato la definizione: «Dio è amore». Giovanni è il discepolo che Gesù amava, e allo stesso modo lui amava Gesù. Nel suo vangelo si definisce come il discepolo amato. Durante l’ultima cena di fronte ai discorsi di Gesù sul tradimento, Pietro accenna a lui per avere la risposta sull’identità del traditore e Giovanni posa il suo capo sul petto di Gesù. È per questo che quando lui e Pietro si mettono a correre, lui corre più veloce. L’amore ti fa correre, l’amore ti spinge, ti lancia, ti fa precipitare. L’amore è il primo germoglio di risurrezione dentro le nostre vite. Quando amiamo è più facile credere anche a quello che è più difficile da credere, al bene. Quando amiamo, finalmente, non abbiamo più paura di credere al bene, e questo coraggio ce lo dà proprio il Risorto. È lui che l’ha portato dentro questo mondo, dentro questa nostra storia, dentro queste nostre vite.

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