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Rubriche | I Blog/L'alfabeto della politica - don Giorgio Bozza

lunedì 4 Febbraio 2019

E come esempio. Politico, mostra ciò che hai dentro!

Non possono esserci due vite separate: quella spirituale e quella secolare

Giorgio Bozza

«Un politico che ha una vita privata immorale può realizzare il bene comune?»: è questa la domanda che puntualmente rivolgo ai miei studenti durante il corso di morale, e nello specifico quando trattiamo il rapporto tra etica e politica.

È impossibile realizzare il bene comune per chi vive una vita privata immorale, rispondono i più perspicaci: la vita privata del singolo contagia e condiziona, nel male o nel bene, l’agire politico. Altri, invece, sottolineano come la professione di un amministratore pubblico non è diversa da tutte le altre. Quando al mattino vado dal fruttivendolo di fiducia non gli chiedo come si è comportato la sera prima, qual è il suo stile di vita, come vive il suo rapporto con la moglie e i figli, mi basta che venda verdura fresca e che sia onesto: perché dal politico, oltre all’onestà, mi aspetto qualcos’altro? Infine, arrivano le risposte un po’ più ponderate, che solitamente iniziano con un “dipende”: dipende da cosa si intende per immoralità e bene comune.

Riguardo al primo dipende, se aspettiamo di essere perfetti per impegnarci in politica, in forza dell’insegnamento del Maestro: «Chi è senza peccato scagli la prima pietra» (Gv 8,7), lascio al lettore trarre le conclusioni. Sembra altrettanto vero, però, che ci siano delle immoralità che incidono più di altre nell’agire di un amministratore. Ci sono dei comportamenti moralmente sconvenienti – peccati? – che coinvolgono certamente la responsabilità del singolo, come ogni scelta, ma che condizionano il proprio ufficio pubblico. In questi casi si può giungere a forme di ricatto, perdita di lucidità nello svolgere le proprie funzioni a causa di paura, ansia, pressioni psicologiche o dipendenze.

“L’apparenza non nasconde il vero”, illustrazione di Gloria Bissacco.

Riguardo al secondo dipende, ne abbiamo già discusso in un precedente intervento. Il bene comune non può essere inteso semplicemente come la sommatoria di tanti beni economici – come la verdura dentro la borsa della spesa – ma è una serie di condizioni culturali, morali, spirituali e, naturalmente, economiche che aiutano la persona nel suo sviluppo integrale, cioè di tutta la persona e di tutte le persone.

Chi si sente chiamato a realizzare il bene comune a tempo pieno deve accettare, voglia o non voglia, la sua condizione di persona pubblica, come un insegnante, un genitore e un educatore. Questo porta il politico a essere un “esempio”, termine che ha la sua origine dal latino eximere, che significa “cavar fuori”: manifestare esplicitamente e visibilmente i propri pensieri, i propri sentimenti. Un amministratore deve saper mostrare a tutti ciò che di più profondo c’è dentro di sé perché ritiene che il modello di vita, di società e di Paese che ha in mente, e che lui stesso prima di tutto vive, sia in grado di realizzare più pienamente e speditamente il bene comune. Se l’esempio è indispensabile in ambito religioso e importante in quello pedagogico – un grammo di buon esempio vale più di un quintale di parole (san Francesco di Sales) – è altrettanto necessario per chi si impegna in politica.

Il 24 novembre 2012, la Congregazione per la Dottrina della fede, presieduta dall’allora card. Ratzinger, diffuse una Nota dottrinale sull’impegno dei cattolici nella vita politica che parlando della coerenza/esempio del politico afferma: «Nella loro esistenza [dei politici] non possono esserci due vite parallele: da una parte, la vita cosiddetta “spirituale”, con i suoi valori e con le sue esigenze; e dall’altra, la vita cosiddetta “secolare”, ossia la vita di famiglia, di lavoro, dei rapporti sociali, dell’impegno politico e della cultura».

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