«Di tanti ministeri esistenti, avrei voluto che lei ne avesse aggiunto un altro: il Ministero della pace. Gli uomini hanno sempre organizzato la guerra. È arrivata l’ora di organizzare la pace».
Rivolto, a più riprese, ai vari capi di governo italiano, questo messaggio don Oreste Benzi lo aveva particolarmente a cuore. A partire dall’esperienza di condivisione di vita con le vittime del conflitto in Jugoslavia, il fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII già dagli anni Novanta rivendicava l’istituzione di un organo statale il cui fine sarebbe quello di diffondere la cultura della pace, organizzata, non episodica, ma strutturata a livello politico e di promuovere progetti specifici di educazione alla stessa pace. Ora, all’interno di uno scenario geopolitico fragile, dilaniato da vecchi e nuovi conflitti, dove i Paesi si sono messi in fila nella corsa al riarmo, dove il nucleare continua a essere minaccia e motivo di azioni di guerra, società civile, associazioni di stampo cattolico ed enti del Terzo settore, rinnovano la proposta, provocatoria, urgente e non solo simbolica, di istituire un Ministero per la pace. Fondazione Fratelli Tutti, Azione Cattolica Italiana, Comunità Papa Giovanni XXIII e Acli – solo per citarne alcune – si sono date appuntamento a Roma, presso l’auditorium Bachelet della Domus Mariae, lo scorso 24 giugno: «La pace non può restare un ideale astratto. Deve diventare una scelta politica concreta, un impegno quotidiano – ammonisce Emiliano Manfredonia, presidente nazionale Acli – Dobbiamo smettere di farci ingannare da chi sostiene che la guerra sia necessaria per difendere la pace. La pace non si costruisce con la paura e il riarmo, ma con il dialogo, la cooperazione e la giustizia sociale».
Secondo la proposta, il nuovo dicastero dovrebbe essere articolato in cinque dipartimenti per promuovere politiche per la costruzione e la diffusione di una cultura della pace attraverso l’educazione e la ricerca, la promozione dei diritti umani, lo sviluppo e la solidarietà nazionale e internazionale, il dialogo interculturale, l’integrazione; ma ancora monitorare l’attuazione degli accordi, dei trattati e delle raccomandazioni internazionali; portare avanti studi e ricerche per la graduale razionalizzazione e riduzione delle spese per armamenti, tra cui anche la riconversione industriale bellica a fini civili. Tutto questo passa anche dalla mediazione sociale, riconciliazione e giustizia riparativa, dalla prevenzione e riduzione della violenza sociale e culturale e dalla promozione di un linguaggio libero dall’odio: «Pensiamo alla proposta di un’educazione della non violenza che diventa anche traduzione dei corpi civili di pace, il rafforzamento del servizio civile internazionale – sottolinea Giuseppe Notarstefano, presidente nazionale dell’Ac – Noi crediamo che sia necessario trovare dei percorsi per dialogare insieme. La pace si nutre di ascolto e dialogo, riconoscendo l’altro come un fratello, anche nelle diversità più estreme. Accogliere le differenze, in un mondo complesso, è la via costruttiva per far convivere le diversità e evitare il conflitto e la distruzione. Invece di combattere ciò che è diverso o radunarsi solo tra simili, è fondamentale permettere a ciascuno di abitare la complessità in modo originale, promuovendo la convivenza e il rispetto reciproco». Non basta solamente invocarla. La pace va organizzata, ricordandoci che già la nostra Costituzione, con l’articolo 11, ne traccia una via. In un’Italia che sin dalla sua unità ha avuto un Ministero della guerra, è giunto il tempo di fare spazio a quello per la pace.
Fra il 30 gennaio e il 5 febbraio 2018 il Centro di ateneo per i diritti umani dell’Università di Padova Antonio Papisca ha progettato e diretto un’indagine per conoscere il parere degli italiani riguardo all’ipotesi di istituzione di un Ministero della pace. Sul sito ufficiale www. ministerodellapace. org è possibile leggere l’esito dell’indagine, ma anche firmare la dichiarazione e restare informati sui prossimi passaggi politici e sulle varie iniziative.