Un’atmosfera di grande prudenza e incertezza, nonostante la chiarezza dell’esito del voto, è quella che si respira in questi giorni successivi alle storiche elezioni che si sono tenute domenica in Bolivia, dove si giocano, contemporaneamente, “due partite”.
La prima è quella strettamente elettorale, i vescovi boliviani l’hanno definita “un nuovo capitolo nella storia politica del Paese”. Al ballottaggio del 19 ottobre (il primo nella storia della Bolivia) si confronteranno il senatore Rodrigo Paz Pereira, del Partito Cristiano-democratico, la cui proposta può essere definita centrista, con circa il 32,14% dei voti e l’ex presidente Jorge “Tuto” Quiroga, più sbilanciato a destra, con quasi il 26,81%. Escluso, a sorpresa dal ballottaggio, Samuel Doria Medina, candidato di un cartello dei maggiori partiti di opposizione, rimasto sotto il 20 per cento, che ha già espresso il suo appoggio a Paz, nome che i sondaggi non davano tra i favoriti.
Le incertezze sulle intenzioni di Evo. La seconda partita, nel più ampio contesto della storica sconfitta del Mas, il partito socialista che ha monopolizzato gli ultimi vent’anni della vita politica del Paese, ora ridotto ai minimi termini, poco sopra il 3%, è quella giocata dal “candidato mancato”, eppure ancora ben presente: l’ex presidente Evo Morales. Asserragliato, tra i suoi “cocaleros”, nel feudo del Chapare, una specie di “piccolo Stato nello Stato”, Morales, di fronte all’impossibilità di una sua ricandidatura, per una sentenza della Corte costituzionale, prima ha “spaccato” il Mas, andando contro il presidente uscente Luis Arce (inizialmente appoggiato da Evo), che ha rinunciato a ripresentarsi, per evitare una sicura sconfitta. Quindi, ha bloccato un Paese in drammatica crisi economica ed energetica, con prolungati scioperi e blocchi stradali. Ha prima “illuso” e poi “falciato” un suo “figlioccio politico”, Andrónico Rodríguez, giunto quarto con circa l’8% dei voti, come candidato indipendente. Infine, ha invitato i suoi sostenitori ad annullare la scheda, come “voto di punizione”. Insomma, impossibilitato a scendere in campo, ha tentato di portarsi via il pallone, con qualche risultato, visto che i voti nulli, alla fine, hanno raggiunto il 20%.
Ora, si teme che, nei prossimi mesi, dopo aver “distrutto” il partito che aveva creato, cerchi di distruggere anche i nuovi governanti, a suon di proteste e blocchi stradali. Da qui, l’estrema prudenza di tutti gli attori politici. D’altronde, è impossibile pensare che un sistema di potere ramificato in tutte le Istituzioni, come il Mas, si volatilizzi da un giorno all’altro.
Un voto più pragmatico che ideologico. Per capire cosa potrà succedere, il Sir ha interpellato il professor Juan Carlos Núñez, direttore della Fondazione Jubileo, emanazione della Conferenza episcopale boliviana, che con le sue analisi, oltre che come soggetto osservatore, ha portato un importante contributo anche a questo processo elettorale. “La prima cosa da evidenziare, alla luce del nostro ruolo di osservatori ufficiali, è che la giornata di domenica è trascorsa in modo regolare e pacifico, con pochissime eccezioni. Oltre a noi c’erano tantissimi osservatori, solo l’Unione europea ne ha inviati 120, l’Organizzazione degli Stati americani 85. Il Tribunale supremo elettorale è riuscito a creare un sistema di conteggio rapido. Già in serata si è conosciuto l’esito delle elezioni, e questo ha contribuito non poco alla trasparenza”.
Rispetto all’esito del voto, Núñez offre alcuni spunti interpretativi sul successo al primo turno di Rodrigo Paz (se gli elettori del terzo classificato, Doria, seguiranno le indicazioni, sarà lui il presidente): “Lo possiamo definire un candidato centrista, moderato, attento al sociale.
L’elettorato sembra aver dato il segnale che, dopo tanta ideologia, serviva un voto pragmatico, di fronte alla crisi multidimensionale, economica, energetica, sociale, istituzionale, che vive il Paese.
Paz, nella sua esperienza di amministratore locale a Tarija, nel sud del Paese, è stato vicino alla gente. È stato percepito come ‘nuovo’, meno coinvolto nella politica del passato, rispetto a Doria Medina, che sembrava favorito, anche se conosce bene la vita politica del paese, essendo figlio di Jaime Paz Zamora, primo vicepresidente della Bolivia dopo il ritorno della democrazia, negli anni Ottanta. Ha avuto un grandissimo successo nei dipartimenti andini occidentali, come La Paz, Oruro, Potosí. Ha ricevuto, certamente, consensi da tradizionali elettori del Mas”.
Resta l’incertezza sul ruolo che potrà giocare Evo Morales: “L’invito al voto nullo ha avuto il suo peso, indubbiamente.
Se confrontiamo il 20% di voti nulli con quelli che sono, solitamente, ‘fisiologici’, vediamo che Morales ha dalla sua parte il 15-16% dei consensi. Abbastanza, per definirlo, politicamente, il vincitore della lotta che ha dilaniato la sinistra. Si tratta di un consenso decisamente maggiore, rispetto al 3% di Eduardo del Castillo, candidato ufficiale del Mas, ma anche rispetto all’8% di Andrónico Rodríguez. Si tratta, però, di un consenso dimezzato, rispetto a quello che aveva”. Potrà, comunque, “bloccare” il Paese? “Non credo – pronostica il direttore della Fondazione Jubileo -. A mio avviso, come dicevo, ora la gente vuole affrontare i problemi in modo pragmatico, Paz ha avuto molti consensi anche nei feudi tradizionali di Evo. Va detto che, nei mesi scorsi, i sostenitori di Morales sono stati molto pronti a ‘portare dalla loro parte’ anche proteste che non avevano uno scopo politico, ma scoppiavano, per esempio, per mancanza di carburante”.
L’auspicio dei vescovi. Le attese di Núñez si incrociano con le speranza della Conferenza episcopale boliviana.
“Esortiamo tutto il popolo boliviano a continuare a informarsi con responsabilità sulle proposte di ciascun candidato in questa nuova fase elettorale, affinché anche il secondo turno si svolga all’insegna della trasparenza, del rispetto e della serenità, promuovendo la fiducia di tutti i cittadini nel processo democratico”,
l’auspicio in vista del ballottaggio. “L’impegno democratico, la speranza e la responsabilità del popolo boliviano, che ha vissuto una vera e propria festa civica, caratterizzata dal rispetto e dalla volontà di decidere il futuro del Paese, devono caratterizzare il cammino da percorrere – il parere dell’episcopato, nella nota letta dal segretario generale, mons. Giovani Arana, vescovo di El Alto -. Accogliamo con speranza i risultati elettorali che aprono un nuovo capitolo nella storia politica del Paese. Riteniamo che questa giornata abbia dato voce a tutti i boliviani che lottano e desiderano cambiamenti significativi per la Bolivia”.