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Emergenza. L’aviaria contro gli allevamenti avicoli veneti
L’influenza, passata dagli uccelli selvatici a quelli allevati, ha portato a molte sopressioni colpendo circa 300 aziende del Nord Italia
L’influenza, passata dagli uccelli selvatici a quelli allevati, ha portato a molte sopressioni colpendo circa 300 aziende del Nord Italia
È stata la peggiore delle epidemie di aviaria a memoria di allevatori, quella che quest’inverno ha colpito molte zone della pianura Padana, tra cui il basso Veneto. Ora sembra finalmente avviata verso un lento declino ma, anche se dovesse sparire in breve tempo, sta lasciano dietro a sé strascichi non indifferenti di cui troppo poco si parla. Lo conferma Simone Menesello, allevatore padovano di Lozzo Atestino, presidente della sezione avicola nazionale di Confagricoltura nonché membro del tavolo tecnico ministeriale sull’emergenza aviaria.
«Da metà gennaio non ci sono state per fortuna segnalazioni di nuovi focolai nel Veneto – rivela Menesello – e l’influenza sembra tornata sotto controllo. Il boom è stato nel mese di dicembre, quando ne risultavano vari al giorno. Sono state colpite, in pianura Padana, circa 300 aziende, e il vero dramma è che per un raggio di dieci chilometri da un focolaiotutta la popolazione avicola è sottoposta a restrizione e, se va al macello, l’area rimane bloccata. Quindi sono migliaia le aziende e i lavoratori ancora fermi, con ciò che questo comporta come impatto sociale».
La filiera avicunicola in Italia conta circa 18 mila allevamenti e occupa 38 mila addetti, per una produzione di carni bianche pari a 1,3 tonnellate annue. La maggior parte delle aziende si trova nella pianura Padana: il Veneto è la prima regione italiana con il 41 per cento della produzione nazionale di carni bianche e il 14 per cento delle imprese, seguita da Lombardia ed Emilia Romagna. L’epidemia aviaria ha colpito duramente soprattutto nella provincia di Verona, che è quella con un maggior numero di allevatori, ma anche quella di Padova e Vicenza. Coinvolta marginalmente anche Rovigo, mentre nel trevigiano c’è stato solo un piccolo focolaio. «Come allevatori – prosegue Menesello – ci sentiamo vicini a queste famiglie e ci stiamo prodigando con il ministero e le regioni per risolvere il problema e mettere in atto strategie di ripartenza. Abbiamo chiesto alla Regione Veneto lo stato di calamità e altre misure come la sospensione dei mutui».
Menesello tranquillizza invece i consumatori sui rischi alimentari. Non ci sono possibilità che le carni contaminate arrivino sulle tavole, perché il prodotto, in particolare quello italiano, deve passare innumerevoli controlli.«È impossibile che gli animali che hanno contratto il virus siano portati al consumo. Se tuttavia anche fosse, e non è, non ci sarebbe alcun effetto nocivo. La misura dell’abbattimento dei capi ha il solo scopo della salvaguardia del resto della popolazione animale, non per i rischi sull’uomo». Il rischio è invece di trovarsi di fronte a una carenza di prodotto, a cominciare dalla carne di pollo e tacchino, con la probabile conseguenza che la filiera vada a cercare in altri Paesi carni che non garantiscono lo stesso livello di sicurezza e qualità.