Rubriche | La Croce del Sud
Esiste ancora il colonialismo? Uno sguardo agli Stati Uniti e all’Africa
Il colonialismo non è morto con l’indipendenza degli stati del Sud del mondo.
Il colonialismo non è morto con l’indipendenza degli stati del Sud del mondo.
I legami con le ex potenze coloniali sono rimasti più o meno forti. Eppure qualcosa sta cambiando. La Francia, che si vantava di avere una presenza importante in Africa, sta perdendo l’amicizia di un Paese dopo l’altro. Complici le prese di posizione di Emmanuel Macron, presidente sempre più debole del Paese d’Oltralpe. Da una parte Macron riconosce la fine “dell’era della Françafrique”, descrivendo la Francia come attore e partner neutrale per i governi africani. Dall’altra, nei suoi viaggi in Africa ha trovato il modo di offendere le sensibilità locali. Inoltre, non ha voluto riconoscere quanto sia necessario rinegoziare gli accordi commerciali, ora pesantemente in favore della Francia. La Francia tuttora controlla la politica finanziaria del Franco Cfa (Comunità Finanziaria Africana), la moneta di quasi tutte le ex colonie francesi in Africa. Ci sono stati dei passi avanti nella gestione del Franco, il governo francese si è allontanato dal comitato di gestione. Non si è però ancora arrivati a una valuta regionale controllata dai governi africani. Non a caso, il Franco Cfa rimane un ostacolo difficile da superare nel rapporto con la Francia.
In modo diverso si muovono gli Stati Uniti. Joe Biden, presidente uscente, ha dato molta attenzione all’Africa. Dopo aver rispolverato il Forum Stati Uniti-Africa, fondato da Obama e dimenticato dal primo Trump, Biden ha sostenuto riforme per garantire maggiore rappresentanza degli Stati africani nelle organizzazioni multilaterali e rilanciando la discussione in merito all’inclusione di un Paese africano tra i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza Onu. Non che tutto sia rose e fiori. Biden era dopotutto il presidente di un Paese che punta al controllo mondiale. Ecco che, turandosi il naso, ha ricevuto a Washington il presidente kenyota William Ruto e lo ha salutato come uno dei maggiori alleati non Nato. Biden ha sorvolato sul fatto che Ruto controlli il Paese con la mano forte, facendo scomparire i giovani universitari che lo contestano. Migliaia di giovani hanno trovato la tortura e la morte e i loro corpi spesso non vengono ritrovati. In ogni caso, gli Stati Uniti mantengono la loro politica africana sui binari designati dal presidente Franklin Delano Roosevelt. Roosevelt rifiutò di sostenere il Regno Unito al tempo della decolonizzazione. Voleva chiaramente avere campo libero per costruire un nuovo rapporto tra stati africani e gli Usa. Inoltre, Biden ha voluto dare un segno forte contro l’attivismo della Cina nel continente. Ora a Washington è tornato Trump. La sua è una politica protezionistica che mal si addice al libero scambio promosso dal trattato Agoa (African growth and opportunity act), che dovrebbe essere riapprovato dal Congresso nei prossimi mesi. Qualcuno pensa che Trump voglia riconoscere l’indipendenza della Somalia del Nord (Somaliland, ex colonia inglese). Questo darebbe nuovo slancio alla collaborazione con l’Etiopia – che ha interessi di accesso al porto di Berbera – ma rischia di inacidire il rapporto con altri Paesi del Corno d’Africa. Si introdurrebbe il principio che i confini decisi durante il colonialismo non sono sacri. Si aprirebbe la strada a molte rivendicazioni territoriali, causando instabilità in tutto il continente. Siamo nel campo delle supposizioni, va però notato che i repubblicani hanno già depositato alla Camera una proposta di legge per il riconoscimento del Somaliland come Stato indipendente. In questi giorni, l’M23 – un gruppo armato e sostenuto dal Ruanda – sta scorrazzando nel Congo Orientale. L’intento sembra essere di arrivare alla capitale – Kinshasa – e deporre il governo. Altri pensano che l’M23 si accontenterà di conquistare terreno per il Ruanda. È difficile immaginare che il presidente ruandese Kagame abbia lanciato tale attacco senza avvertire il governo statunitense, con cui collabora per questioni militari. Un altro segno che le guerre per proxy e la mentalità coloniale sono dure a morire.
Giuseppe Caramazza Missionario Comboniano