«Desideravo tornare in Etiopia, dove sono già stato due volte – racconta il vescovo Claudio Cipolla – Volevo vedere come procedeva la missione della Chiesa di Padova, iniziata sei anni fa, in cui operano due presbiteri – don Nicola De Guio e don Stefano Ferraretto – e una laica, Ilaria Scocco (e, prima di lei, Elisabetta Corà). Sono stato contento, perché ho colto i passi avanti che sono stati compiuti».
Don Claudio racconta il viaggio che ha compiuto dal 16 al 26 luglio insieme a don Raffaele Coccato, responsabile del Centro missionario diocesano, a don Dante Carraro, direttore di Medici con l’Africa Cuamm, e a due membri dell’ong di cui il vescovo è presidente. In Etiopia, oltre a incontrare i fidei donum padovani, ha visitato alcuni progetti del Cuamm: a Wolisso e a Gambella.
«Rispetto allo stile della nostra presenza in Etiopia avevo qualche incertezza all’inizio, quindi ho chiesto pazienza ai fidei donum – continua don Claudio – Per prima cosa c’era da imparare la lingua, conoscere le persone, farsi anche qualche amico… E poi conoscere l’ambiente nel quale si trovavano, non soltanto la prefettura di Robe, ma anche la Chiesa di Etiopia. Ho visto che sono ben inseriti e mi sembra che adesso siano nella condizione di potersi esprimere al meglio. Che vuol dire anche consegnarmi – visto il loro coinvolgimento – delle piste su cui insistere. Su questo “vado a scuola” da loro».
L’ambiente in cui si muovono don Nicola, don Stefano e Ilaria «si conferma esposto, impegnativo, sfidante. I cristiani cattolici sono una minoranza in un contesto che vede la presenza dell’Islam, ma anche della Chiesa ortodossa e Ge’ez, una Chiesa di origine ortodossa unita a Roma. In questo contesto, quale stile di missione possiamo interpretare? È una ricerca che continua. Mi è piaciuto sentire che don Nicola si ferma dal venerdì alla domenica a Kokossa, una realtà piccola, lontana dalla sede della missione, che è ad Adaba. È importante, anche se impegnativo, stare con le persone. Questo stile di presenza mi ricorda molto Charles de Foucaul. Non sono importanti tanto le opere, quanto la vicinanza, la testimonianza, la prossimità».
Dal suo viaggio don Claudio ha portato a casa alcune “ricadute” per la Chiesa di Padova: «In Etiopia ci sono due presbiteri che si stanno dedicando, insieme a una laica, a comunità piccolissime. Questo può aiutarci a riconoscere la preziosità anche di ciò che è piccolo, cosa che non sempre qui in Diocesi sappiamo fare, mettendoci a fianco di chi è fragile e debole: persone e/o comunità. L’esperienza che stanno vivendo in Etiopia è di stimolo per noi. Penso, ad esempio, all’attenzione che hanno verso la Chiesa locale e alle sue prospettive. I fidei donum si mettono a servizio non solo rispetto alle “cose da fare”, ma anche quando si tratta di pensare al futuro. Da questo dobbiamo imparare. Rifletto, poi, sul fatto che non sono i mezzi potenti che ci che convertono alla fede: dobbiamo rispettare i tempi di Dio. È lui che chiama, è lui che converte, noi dobbiamo cercare di essere cristiani per la nostra strada, imperfetta ma autentica». Dal dialogo e confronto con don Nicola, don Stefano e Ilaria «ho colto il desiderio di essere legati alla Chiesa di Padova. Il Centro missionario diocesano si adopera molto perché questo avvenga, ma l’attenzione alle missioni dev’essere di ciascuno di noi. Dobbiamo sentirci coinvolti tutti, a partire da noi presbiteri».
Nella seconda parte del viaggio in Etiopia, il vescovo Claudio ha visitato alcuni progetti di Medici con l’Africa Cuamm, ong nata a Padova 75 anni fa, di cui è presidente (ha “raccolto il testimone” da don Paolo Doni). «Già in passato avevo visitato un progetto in Etiopia – racconta – per rendermi conto meglio di cosa fosse il Cuamm, una realtà conosciuta e significativa. In questa occasione, in particolare, sono stato a Wolisso e a Gambella. Quella di Medici con l’Africa Cuamm non può essere definita un’esperienza di evangelizzazione, ma ne è complementare. Non può essere disgiunta.
Se quella della missione diocesana nella Prefettura di Robe è un’evangelizzazione esplicita e diretta, per il Cuamm il compito di evangelizzare avviene tramite il servizio alla salute. Con un grande impegno, professionalità e capacità. Ho potuto constatare l’impegno dell’ong nel formare gli operatori locali: chi possa prendere in mano i servizi sanitari a livello manageriale, ma anche chi è chiamato a operare in prima linea. È stato bello, in questo senso, partecipare all’inaugurazione – a Wolisso – della Scuola per infermieri e ostetriche. Il servizio del Cuamm è prezioso, perché oltre a impegnarsi nella cura delle persone si dedica alla formazione degli operatori».
«Un bel momento di confronto, dialogo e ascolto»: così don Nicola De Guio sintetizza l’incontro avuto con il vescovo Claudio. I “discorsi” sono partiti da un documento preparato insieme a don Stefano Ferraretto e Ilaria Scocco per aggiornarlo sulla missione. «Gli abbiamo chiesto, poi, di raccontarci cosa sta vivendo la Diocesi di Padova e, in generale, com’è la situazione pastorale in Italia. Ci sentiamo coinvolti in queste dinamiche, ma nello stesso tempo proiettati su quello che è l’impegno missionario in una Chiesa totalmente diversa. Siamo impegnati nella prefettura di Robe, dove le comunità sono molto piccole, ma ricche di relazioni: non dal punto di vista numerico, ma della qualità».
La visita del vescovo è stata, sottolinea Ilaria Scocco, «anche occasione per un momento di verifica interna molto forte. Anche con le suore Dimesse che, dopo varie peripezie burocratiche, sono finalmente arrivate tra noi». Dai giorni vissuti con don Claudio, Ilaria “raccoglie” lo slancio forte «a essere vicini alle persone, ad andare nelle case, a fare amicizia… senza grandi progetti o strutture. Poi, certo, ci sono i progetti e c’è la pastorale, c’è la prefettura di Robe e ci sono le iniziative. Ma prima di tutto vogliamo stare vicino alla gente. Perché quando sei in minoranza – la maggior parte in Etiopia sono musulmani e poi c’è un piccolo numero di protestanti e ortodossi – quando sei straniero, quando non conosci alla perfezione la lingua e la cultura… non ti puoi permettere di dare vita a strutture, progetti, ma serve essere umili e stare vicino alle persone. Sento che questa potrebbe essere una chiave anche per la Chiesa di Padova…».
L’esperienza missionaria, non solo quella in Etiopia, «può essere stimolo, provocazione, testimonianza per la Diocesi in Padova – sottolinea don Stefano Ferraretto – Ci ha molto rallegrato sapere che il vescovo crede nella dimensione missionaria delle parrocchie: serve un po’ più di coraggio. Ciò che viviamo in Etiopia può essere da stimolo positivo per la Diocesi di Padova». Don Stefano restituisce, inoltre, la bellezza dell’ascolto, da parte del vescovo, «delle nostre attese, dei nostri desideri e anche del senso di essere qui come fidei donum».
«La missione è per tutti i battezzati – sottolinea con forza don Ferraretto – quindi spero che il laicato missionario possa essere rivalutato in Diocesi di Padova. Credo che sia il tempo di rilanciare questa esperienza, che per anni è stata anche all’avanguardia nel contesto delle missioni diocesane».