“Che siano tutti una cosa sola” e “Uniti nella diversità”. Possono essere racchiusi in queste due frasi – la prima tratta dal Vangelo di Giovanni, la seconda è il motto dell’Unione europea – il senso e i contenuti dell’incontro “Europa: Le sue radici cristiane. I suoi due polmoni” svoltosi ieri sera presso l’Accademia di Romania per iniziativa dell’ambasciata di Romania presso la Santa Sede con il patrocinio del Consiglio delle Conferenze episcopali di Europa.
“Siamo accompagnati da valori spirituali, etici e antropologici”. Introducendo l’evento, l’ambasciatore George Bologan ha sottolineato che “oggi l’Ue deve affrontare grandi sfide senza allontanarsi da principi e valori che sono la sua ragion d’essere”.
E “ciò che funge da catalizzatore per il cuore europeo è l’identità, fatta di differenze culturali, spirituali e nazionali”. Per l’ambasciatore,
“il cristianesimo può chiaramente essere un elemento aggregante del nostro Continente, un catalizzatore della nostra unità”.
E se è vero che “siamo uniti nella nostra diversità”, Bologan ha evidenziato che è altrettanto vero che “il mondo ha bisogno dell’ossigeno dello Spirito Santo per poter respirare le parole del Vangelo”. “Sappiamo quando si soffra quando si ha un’insufficienza respiratoria”, ha osservato: “La stessa cosa accade quando le due Chiese, quella ortodossa e quella cattolica, inciampano nei pregiudizi, l’una verso l’altra”. “La divisione tra Chiese è assurda e crea scandalo”, ha ammonito l’ambasciatore, che ha invitato a “prendere atto dell’urgenza della riconciliazione dei cristiani nello spirito della stessa teologia e cultura”.
“Recuperare il senso del perché dobbiamo essere uno”. Portando i saluti del prefetto del prefetto del Dicastero per la Promozione dell’unità dei cristiani, card. Kurt Koch, il segretario mons. Flavio Pace, ha ricordato che proprio ieri Papa Leone XIV, incontrando i partecipanti all’Assemblea plenaria della Riunione delle Opere per l’aiuto alle Chiese orientali, ha richiamato quanto disse san Giovanni Paolo II il 2 giugno 1985: “La Chiesa deve imparare di nuovo a respirare con i suoi due polmoni, quello orientale e quello occidentale”. “Quel ‘di nuovo’ – ha commentato mons. Pace – ci dice che
bisogna recuperare una dimensione che c’è stata e che poi è diventata poco comunicante, addirittura possiamo dire divisa”. “Queste dimensioni devono tornare a parlarsi”,
ha ribadito il segretario del Dpuc, secondo cui “attraverso la conoscenza, la stima, l’amore reciproco delle nostre due tradizioni” si può “recuperare il senso del perché dobbiamo essere uno; che non significa essere uguali o omologati, ma – ha precisato – nelle differenze, nei colori variopinti che lo Spirito sa suscitare” riconoscere che “il fondamento dell’unità è l’annuncio di Cristo”. Ripercorrendo la storia del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa, la sua attuale configurazione – 39 membri rappresentanti di 45 Paesi del Continente compresi Russia e Turchia – e l’impegno a servizio delle Chiese cattoliche europee, il segretario generale don Antonio Ammirati, ha auspicato che
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“l’Europa possa ricollocare Cristo al centro della vita”.
A Roma per il Giubileo dei seminaristi, sacerdoti e vescovi, mons. Virgil Bercea, vescovo greco cattolico rumeno della diocesi di Oradea, ha voluto essere presente all’evento per
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“testimoniare che si può vivere l’unità pur nella diversità”.
Riferendosi alla sua esperienza in Romania, il presule ha evidenziato come sia “importante che siamo insieme, tutti”.
“Quello orientale per noi occidentali è un polmone che dobbiamo recuperare”. L’unità dei cristiani è “un unico obiettivo, grande, anche se non è facile da realizzare anche per le vicende contemporanee; ma non è possibile demordere o tirarsi indietro”. È partito da questa considerazione il card. Angelo Bagnasco, presidente emerito del Consiglio delle Conferenze episcopali di Europa, per proporre la sua riflessione: “Guardando al nostro Continente vediamo un debole senso di appartenenza e sembra che ci allontaniamo sempre di più da quel grande progetto, desiderio, ambizione che è l’unità dell’Europa”.
“Un’unità – ha ammonito – che viene generata non da bisogni immediati, non da preoccupazioni di difesa, non da paure, certamente condivise, ma dalla cultura” che risponde ad una “visione dell’uomo, della vita; una visione antropologica, che è una risposta completa, il più possibile integrale, circa l’identità di ogni persona”.
“Alla radice di qualunque cultura vi è sempre il culto, il rapporto con la trascendenza comunque intesa”, ha spiegato il porporato, aggiungendo che
“se uno Stato, una cultura non riconosce o nega l’apertura della persona alla trascendenza, questo è deficitario, insufficiente, può diventare liberticida”. Quella che nega la trascendenza “non è una società più giusta o libera, è più disumana”,
ha precisato il cardinale ricordando come l’“incontro tra Atene, Gerusalemme e Roma è accaduto nel nostro Continente, non possiamo prescindere da questo dato storico”. “Un incontro non casuale ma provvidenziale” com’ebbe a dire Benedetto XVI.
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“L’Europa ha una sola anima e due polmoni”,
ha affermato Bagnasco, che poi si è soffermato sulla “ragionevolezza della fede; la fede è un dono ma bisogna desiderarla, cercarla, invocarla”. “Dovremmo recuperare le ragioni della fede – l’invito del porporato – per parlare meglio all’uomo moderno” che “nel suo smarrimento interiore, mascherato da allegria, da stordimento e da false sicurezze, ha non solo bisogno del Vangelo, lo desidera senza saperlo”. Bagnasco ha poi ricordato che sotto la sua presidenza il Ccee promosse un sondaggio sui sentimenti prevalenti nel mondo giovanile nel Continente: “Al primo posto risultò l’angoscia”, ha rammentato. Serve “consapevolezza per affrontare l’uomo moderno, i giovani come i non giovani. Perché tutto può cambiare, eccetto l’uomo”. Avviandosi verso la conclusione il cardinale ha rilevato che quello orientale per noi occidentali “è un polmone che dobbiamo recuperare, riscoprire con determinazione”. Perché “ha conservato per tutta la cristianità la mistica delle fede”. E,
“alla luce dell’Oriente, noi occidentali dovremmo imparare a fermarci”, il monito di Bagnasco: “Corriamo troppo, ma i troppi impegni non devo essere una scusa”. Si tratta di “fermare la vita per poter vivere; per contemplare non i messaggi veloci, continui, infiniti, innumerevoli, a cui siamo abituati dai mezzi di comunicazione” e che “ci distolgono dall’essenziale”. “Non è la quantità ma la profondità ciò di cui abbiamo bisogno”, ha precisato, evidenziando che c’è bisogno di
“fermarci per contemplare e lasciarci abbracciare dalla bellezza che è attorno a noi”, esprimendo una “passività che noi occidentali stiamo sempre più cancellando dal vocabolario, anche noi cristiani”.
“Dio non ha bisogno del nostro fare, dobbiamo lasciarci fare da Dio, lasciare il timone della nostra vita occidentale, frenetica, nelle mani di Cristo”. “Allora – l’esortazione finale – lasciamoci abbracciare dalla bellezza” che, “non dimentichiamolo, come scriveva Platone, è lo splendore della verità”.
“È nostro dovere coltivare la complementarietà”. “È complesso il mistero del cristiano europeo”, per questo “è necessario il confronto, il dialogo”. Ne è convinto mons. Siluan Șpan, vescovo della diocesi ortodossa romena d’Italia, secondo cui “siamo incompleti se viviamo nella propria dimensione, personale o confessionale nazionale”. “Negli ultimi 20-30 anni – ha rilevato – il fenomeno migratorio, senza precedenti da tutte le parti del mondo, ci ha messo in una situazione di crisi”; oggi – ha proseguito – siamo “davanti a sfida molto importante che se sappiamo sfruttarla porterà a frutti grandi per chi oggi nasce lontano dal Paese d’origine dei genitori”. Per mons. Siluna, è
“essenziale l’esercizio di condivisione, di dialogo tra le diverse confessioni cristiane; questo ci aiuterà ad arricchirci molto di più di quello che facciamo oggi”.
Invitando a “non sradicarsi dal patrimonio spirituale, dal patrimonio immateriale che viene portato dagli emigranti in altri Paesi”, il vescovo ortodosso, rivolgendosi ai connazionali, ha ammonito: “Se fossimo tanto fedeli al Vangelo come lo siamo alla ricetta della ciambella romena…”. “L’incontro di due culture e di due tradizioni cristiane determina un miglioramento”, la convinzione di mons. Siluan:
“Non è più tempo per sconti teologici, indifferenza o ignoranza reciproca”. Invece “è nostro dovere coltivare la complementarietà”; e, come diceva Papa Francesco, “mentre prosegue, seppur lentamente ,il dialogo teologico, dobbiamo imparare a volerci bene tra cristiani”.
“Un dialogo – ha evidenziato – che deve puntare lontano”, essendo “consapevoli della responsabilità che abbiamo verso tutti, verso chi ha sete, chi sta cercando una testimonianza viva, una speranza”.