Skip to content
  • Edizione Digitale
  • Abbonati
logo
  • Ultimi Articoli
  • Sezioni
    • Chiesa
    • Idee
    • Fatti
    • Mosaico
    • Storie
  • Regionali 2025
  • Rubriche
  • Speciali
  • Mappe
  • EVENTI
  • Scrivici
  • Edizione Digitale
  • Abbonati
Area riservata

Mappe | Mappe 15 – Settore moda – maggio 2023

martedì 16 Maggio 2023

Abbigliamento vintage. Seconda mano, sì come prima scelta

Francesca Campanini
Francesca Campanini
collaboratrice

Tra le file di appendiabiti, grucce e mucchi di capi di abbigliamento che colorano lo stabile di una delle ex-fabbriche del boom economico italiano, oggi sede del mercatino “Vintage appeso al peso” nel quartiere Arcella di Padova, il messaggio da parte di venditori e consumatori è unanime: i cavalli di battaglia del vintage sono il rapporto qualità-prezzo e la sostenibilità ambientale. Uomini e donne, principalmente studenti universitari e giovani lavoratori, spulciano la mole di pezzi retrò che i commercianti Giovanna Strazzacappa e Giorgio Mattoschi periodicamente mettono in vendita al chilo nel loro magazzino.

«È da qualche anno che ho smesso totalmente di comprare nuovo e mi vesto di usato – spiega Nicola Lorusso, ventitreenne originario di Matera e attore di passaggio a Padova, che nel pomeriggio in attesa di recitare il Riccardo III al Teatro Verdi ha optato per lo shopping vintage – La scelta l’ho fatta quando mi sono reso conto che spesso compravo pantaloni o camice che utilizzavo una o due volte e poi non mettevo più. È anche una questione estetica, questi tagli mi affascinano molto, inoltre ovviamente c’è la motivazione green. Secondo me l’usato alla generazione dei miei genitori crea ancora un senso di distacco, come se ci fosse una sorta di paura di indossare cose di altri. Capisco, loro sono figli di una generazione che è nata e cresciuta durante il miracolo economico, in cui si compravano un sacco di cose che poi si buttavano. Capisco, non li condanno, ma non li giustifico». Il fatto che la scelta dell’abbigliamento usato sia anche una questione generazionale balza all’occhio come questo mercatino ed è confermata dall’analisi di mercato realizzata, l’autunno scorso in sette Paesi, da Boston Consulting Group (Bcg) e Vestiaire Collective: la Generazione Z, ovvero i nati tra il 1997 e il 2012, sarebbe più propensa ad acquistare (31 per cento) e vendere (44 per cento) capi di seconda mano, mercato che già nel 2021 valeva tra i 100 e i 120 miliardi di euro.

Scelta etica e ambientale Tra i giovani, inoltre, la questione etica relativa alla sostenibilità ambientale è in primo piano, soprattutto tra i tanti studenti internazionali che ravvivano Padova: «Mi sento in colpa quando compro prodotti della fast fashion, optare per il vintage per me è una scelta etica e consapevole – racconta Christine, studentessa di ingegneria chimica dell’Ateneo patavino e originaria di Salonicco, in Grecia – Non è meno costoso, la grande produzione di bassa qualità è molto più economica e comprare quei prodotti è più semplice: in quei grandi negozi trovi sempre qualcosa che più o meno ti piace, in posti come questi mercatini devi avere molta più apertura mentale per trovare un capo che faccia al caso tuo, ma è bello così». Non si tratta quindi di risparmio economico in termini assoluti, i capi vintage possono costare molto, soprattutto rispetto all’offerta a cui negli ultimi anni l’industria della moda di massa ci ha abituati. A fare la differenza però è il rapporto qualità-prezzo: «Quando ci sono dei materiali pregiati come pelle o pura lana, comprando vintage si risparmia a parità di qualità di prodotto rispetto a un capo nuovo – è l’osservazione di Giovanna Strazzacappa, titolare del negozio vintage StrazzaKappa che ha due sedi nella Città del Santo e una a Cortina – Poi rimane la questione dell’originalità del pezzo: se per esempio un capo vintage è un pezzo originale di una collezione limitata ovviamente costa. Da 30 anni, vendo tirolese, etnico, vestiti americani e camice hawaiane. La maggior parte dei nostri clienti sono studenti universitari, che scelgono l’usato perché sono molto sensibili alle questioni ambientali, ma non è solo questo. Io credo che ci sia bisogno di individualità, di scegliere qualcosa da indossare che non sia il solito cliché stabilito dalla moda del momento e che ti rende un po’ un copia e incolla che cammina».

Veronica, trentunenne e lavoratrice di Castelfranco, conferma: «Io la passione per il vintage l’ho scoperta riguardando dentro ai vecchi armadi di casa, dove c’erano i vestiti dei miei nonni. È una questione di scelta personale ed estetica: la qualità dei tessuti ripaga, poi anche nel campo della moda stanno tornando in auge tagli di anni fa, si ritrovano sui pezzi che le collezioni propongono adesso». Al di là delle esperienze personali, il mercato dell’abbigliamento di seconda mano ha visto un’escalation negli ultimi anni: seppur secondo Il Sole 24 ore alla fine del 2021 l’usato ancora non conquistava gli italiani e la percentuale di acquisti di capi resell (rivenduti) era circa la metà rispetto a Francia, Germania e Stati Uniti (20 per cento contro una media del 38 per cento), nel 2022 il valore di questo mercato italiano è stato di 25 miliardi di euro e ha coinvolto ben 24 milioni di italiani. A livello globale rappresenta tra il 3 per cento e 5 per cento del totale e continua ad aumentare. Il tasso di crescita è tre volte superiore a quello dell’abbigliamento di prima mano e quest’anno si assesta tra il 20 per cento e il 30 per cento.

Spopolano le appA determinare questo fenomeno esponenziale c’è un altro fattore che possiamo dire fondamentale: le app per la compravendita di vestiti usati. Vinted, nata nel 2008 e con sede in Lituania, è quella più famosa, conta 45 milioni di utenti globali e offre una proposta di capi diversissimi tra loro e alla portata di tutti. Come funziona? L’utente scatta una foto a un vestito che ha da anni nell’armadio e la carica sull’app, in attesa che un consumatore affascinato lo contatti per farselo spedire. Vestiaire Collective è l’app che, invece, domina nella vendita online di usato specificamente di lusso, a cui 11 milioni di persone sono iscritte. Il concetto di usato di lusso è culturalmente una novità, fino a qualche anno fa «se parlavi di usato la gente si faceva il “segno della croce” – commenta Giorgio Mattoschi, titolare del negozio vintage Consenso e organizzatore di Vintage appeso al peso – All’estero o nelle grandi città italiane le cose che stiamo dicendo ora sono già sdoganate da anni, in generale però questi percorsi sono lenti» Giovanna Strazzacappa aggiunge: «L’usato non è solo per chi non ha potere economico, se così fosse si accentuerebbero anche da questo punto di vista le differenze tra classi sociali, rafforzando la classe più ricca. Passerebbe che coloro che hanno soldi non comprano usato perché comprometterebbe il loro status. Questa purtroppo è la mentalità che hanno ancora molte persone che comprano il nuovo per distinguersi da chi ha meno risorse economiche». E riguardo alle app per la vendita di vestiti di seconda mano Strazzacappa e Mattoschi non sono preoccupati: «Le app non sono un limite, sono qualcosa in più, rendono il fatto di acquistare e indossare usato un fenomeno ancora più globale, così viene sempre più sdoganato».

Come funziona il Vintage appeso al peso

Negli spazi delle vecchie fabbriche in via Dalmazia 1 a Padova, il format che si ripete ogni mese invita gli utenti ad acquistare capi singoli o pagando 30 euro al chilo.

Ultimi articoli della categoria

Un mondo di tessuti intrecciati. Una pausa alla moda veloce

martedì 16 Maggio 2023

Un mondo di tessuti intrecciati. Una pausa alla moda veloce

Fare le scarpe, non è un modo di dire

martedì 16 Maggio 2023

Fare le scarpe, non è un modo di dire

La pandemia frena gli investimenti. Anche le imprese devono essere green: l’analisi

martedì 16 Maggio 2023

La pandemia frena gli investimenti. Anche le imprese devono essere green: l’analisi

Condividi su
Link copiato negli appunti
Logo La Difesa del Popolo
  • Chi siamo
  • Privacy
  • Amministrazione trasparente
  • Scrivici

La Difesa srl - P.iva 05125420280
La Difesa del Popolo percepisce i contributi pubblici all'editoria.
La Difesa del Popolo, tramite la Fisc (Federazione Italiana Settimanali Cattolici) ha aderito allo IAP (Istituto dell'Autodisciplina Pubblicitaria) accettando il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale.
La Difesa del Popolo è una testata registrata presso il Tribunale di Padova decreto del 15 giugno 1950 al n. 37 del registro periodici.