Sapete che con 27 bottiglie di plastica (o meglio, Pet) si può produrre una maglia in pile? O che con 640 lattine si possono convertire in un cerchione per auto? E sapete che con sette scatole di biscotti si fa un quotidiano? Molti cittadini di Padova, in cui è attiva la raccolta differenziata porta a porta, queste informazioni le trovano nel calendarietto in cui sono riportati mensilmente i giorni e gli orari di ritiro del vetro, dell’indifferenziata, della carta e così via. Il riutilizzo a nuova vita di oggetti e materiali è uno dei tasselli centrali del Goal 12 dell’Agenda 2030 focalizzato sul raggiungimento di produzione e consumi responsabili e sostenibili. E il Veneto su questo di strada ne ha fatta tanta: da quindici anni è costantemente la prima Regione in Italia per percentuale di raccolta differenziata, e leggendo il rapporto 2022 dell’ASviS, emerge che tra il 2010 e il 2022 è aumenta la quota di rifiuti urbani differenziati (più 17,5 per cento) e si è ridotta la produzione di rifiuti pro-capite (meno 2 per cento). «Una delle ragioni di questo miglioramento è proprio legata ai comportamenti dei cittadini e delle utility locali che hanno raggiunto livelli di qualità e responsabilità di gestione dei rifiuti molto elevati – evidenzia Paolo Gurisatti, economista industriale e membro del direttivo Asvess, l’Associazione veneta per lo sviluppo sostenibile – Il riciclo dei materiali per il loro riuso è uno degli obiettivi dell’economia circolare che coinvolge direttamente le famiglie. Questo, però, non vuol dire che abbiamo raggiunto il nostro scopo: come Asvess sottolineiamo che a guidare l’economia circolare sono le tecnologie di recupero, decomposizione dei materiali e riuso. L’azienda Contarina, nel Trevigiano, è diventata per esempio un caso esemplare in Veneto e in Italia perché è all’avanguardia, ha messo in atto tecnologie di recupero del Forsu (Frazione organica del rifiuto solido urbano, il materiale raccolto dalla raccolta differenziata dell’organico, ndg) particolarmente avanzate. Dobbiamo costantemente investire sul messaggio giusto e corretto da veicolare: prendiamo la signora Maria che non sa come gestire lo smaltimento di un appendiabito fatto di plastica e ferro; ecco, tutte queste informazioni potrebbero essere arricchite spiegando che uso finale si fa dello scarto in modo tale da fare bene la prima operazione, che è quella della selezione e suddivisione delle componenti del rifiuto». La Provincia di Treviso è la più virtuosa in Italia con 88,7 per cento di rifiuti adeguatamente riciclati e si inserisce in un contesto regionale la cui media è abbondantemente oltre il 70 per cento. Il cittadino, però, è solo un ingranaggio; l’altro è rappresentato dall’industria: «Teniamo conto che l’industria italiana del legno è all’avanguardia in Europa e nel mondo proprio per l’approvvigionamento delle materie prime – sottolinea Gurisatti – Cioè si approvvigiona da aziende che macinano, triturano, recuperano e riciclano pannelli dei mobili e li trasformano in materia prima-seconda utile sempre per l’industria del mobile. Uso questa immagine: le principali foreste di alimentazione della nostra industria del mobile sono in centro a Milano e a Torino. Cose simili troviamo anche nel settore degli scarti alimentari, pensiamo all’industria della pelle: negli impianti della Sicit di Arzignano, per esempio, si recuperano gli scarti della conceria per produrre integratori per aiutare le piante a resistere ai cambiamenti climatici. Ma va menzionata anche la specializzazione delle industrie tessili dei filati, dei disfacimenti di maglie o maglioni. L’aspetto interessante, se rimaniamo nella produzione dei mobili, è che il recupero dell’oggetto nasce nello stesso pensiero di creazione: si fabbricano in ragione dell’uso finale che si farà del mobile a fine vita. Così, per esempio, il legno contenuto nell’arredo non è inquinato da prodotti chimici o coloranti che ne rendono difficile il recupero». Il Veneto è al secondo posto nella graduatoria regionale dopo la Lombardia (88.020 imprese) per numero di imprese che hanno fatto investimenti nell’economia circolare, con una quota del 9,2 per cento sul totale delle imprese investitrici italiane. Inoltre dal 2018 al 2022 sono state 47.111 le imprese in Veneto che hanno effettuato ecoinvestimenti pari al 36 per cento del totale, ovvero più di una su tre. «Il punto su cui c’è ancora da lavorare è che le industrie “attendono” indicazioni dalle aziende di riciclo per avere conoscenza diretta delle tecnologie di recupero e decomposizione dei materiali. Il problema è relativo alle normative: chi è che stabilisce quando una materia prima-seconda è certificata, priva di inquinanti? Certo ci sono le convenzioni internazionali, ci sono i tecnici che definisco le normative, penso alla Epd (Environmental product declarations). Se fossi industriale con occhio all’economia circolare io investirei pure nelle tecnologie nella misura in cui il mio lavoro venga autorizzato: se il sistema di autorizzazione è arretrato e non chiaro è un disincentivo a investire». Dunque cittadini e imprese. E la pubblica amministrazione? Paolo Gurisatti lancia una proposta e provocazione: «In un Veneto fortemente cementificato, la costruzione di nuove strade ed edifici va contro l’idea di circolarità: convertiamo le strade secondarie a basso traffico in piste ciclabili: meno auto e più possibili di usare la bicicletta».