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Mappe | Mappe 12 – Le banche – febbraio 2023

lunedì 13 Febbraio 2023

Cosa rimane del lento declino delle banche italiane e venete. Storia, risparmi e solo polvere

Giovanni Sgobba
Giovanni Sgobba
redattore

Amore e Psiche, coppia celebre della mitologia greca, hanno ispirato nel corso dei secoli l’estro di numerosi artisti, tra cui lo scultore Antonio Canova che, verso la fine del Settecento, decise di farne una composizione differente, in piedi, con la giovane donna intenta a offrire una farfalla simbolo della sua stessa anima. L’opera marmorea è oggi conservata al Louvre di Parigi e venne acquistata da Gioacchino Murat, ma esiste anche la sua versione di gesso, preparatoria e non meno affascinante che lo scultore trevigiano di Possagno supervisionò scrupolosamente mentre i gessini Malpieri e Torrenti ne erano effettivi esecutori. Lo scorso fine gennaio, l’opera è stata battuta all’asta al prezzo record di un milione e 228 mila euro, cifra sei volte superiore alla base che era di 200-300 mila euro. Mai un gesso di Canova aveva raggiunto una cifra simile. Di romantico, in questa storia, però c’è solamente l’intima delicatezza dei due innamorati perché il gesso, in realtà, faceva parte della collezione di opere d’arte e arredi di Veneto Banca messa insieme dall’ex amministratore delegato Vincenzo Consoli e che i liquidatori hanno dovuto mettere all’asta dopo il crac dell’istituto di Montebelluna. Comprata nel 2004, infatti, la statua in gesso accoglieva i visitatori nel centro direzionale: sfarzo e maestosità, oggi, sbriciolati, segno di un impero disintegrato, affondato trascinando con sé clienti e risparmiatori. Ma anche due secoli di storia. Il crac simultaneo di Veneto Banca, erede della Banca popolare di Montebelluna costituita nel 1877, e della Banca popolare di Vicenza fondata ancor prima nel 1866, segna la fine di una rete di istituti bancari che proprio in Veneto hanno gettato le basi prima di diffondersi sul resto della penisola. Queste banche nacquero a supporto di un territorio di piccoli lavoratori e impoverito dalla massiccia emigrazione, e seguendo i principi di cooperativismo creditizio teorizzati e messi in pratica dal veneziano Luigi Luzzatti, differente dal modello di un altro veneto, il padovano Leone Wollemborg, più attento alle esigenze degli agricoltori e che portò alla nascita delle casse rurali, e dell’impegno dei cattolici nella formazione di casse rurali di tipo confessionale con don Luigi Cerruti che nel 1892 diede vita alla Cassa rurale di prestito di Gambarare di Mira.

Come spiega Giorgio Roverato, docente di Storia dell’impresa all’Università di Padova, nel libro Due secoli di banca in Veneto: «Queste due crisi hanno una comune origine: l’eccessiva dilatazione delle dimensioni e dell’insediamento territoriale, aggravata nel caso della Banca popolare di Vicenza dal suo tentativo, come già fu per la popolare Antonveneta veneta, di divenire banca di ambito nazionale. Ma, almeno, Pontello (Silvano Pontello, direttore generale di Banca Antonveneta, ndr) aveva lucidamente scelto la strada – poi sfortunata, ma non per sua responsabilità – della trasformazione in Spa». È evidente che un monito e una lezione ci fossero, eppure le due popolari venete decisero di ignorare il precedente, accecate dalle mire espansionistiche e dalla rivalità tra il già citato Vincenzo Consoli e Gianni Zonin, presidente della BpVi. Mire espansionistiche che portarono nel Duemila ad aprire in Romania, Moldavia, Croazia, Albania e uffici di rappresentanza tra Mosca e New York. Ma c’è una prima data da segnare in rosso: il 4 novembre 2014 nacque l’Unione bancaria europea e le prime ispezioni dei tecnici di Francoforte evidenziarono crepe nella gestione delle due società e anche nelle scelte, scoprendo finanziamenti facili a clienti “illustri”. Si innestò un effetto domino che portò all’intervento del Fondo Atlante che divenne proprietario delle due banche con oltre il 95 per cento del capitale. Le azioni vennero svalutate a 10 centesimi l’una: 11 miliardi di euro di risparmio privato furono letteralmente bruciati e per i circa 205 mila soci, piccoli risparmiatori, famiglie, artigiani, pensionati fu un colpo terribile. Ancora il senso di sbriciolamento, questa volta a vaporizzarsi furono i risparmi di una vita. Il 25 giugno 2017, altra data cerchiata in rosso, venne accertato che la banche fossero in dissesto o a rischio di dissesto, decretando la fine ultrasecolare della Popolare di Vicenza e di Veneto Banca. Intesa Sanpaolo acquisì una serie di attività delle due ex popolari, chiusero oltre 600 filiali e dopo un accordo sindacale si arrivò a quattromila esuberi, tutti con prepensionamento.

Macerie e polvere, non di gesso. «Io vorrei che la gente si rendesse conto che ciò che è accaduto è il frutto soltanto di volontà umana: non c’è stato un terremoto o una cataclisma, ma l’uomo ha voluto far questo», è l’amara considerazione dell’avvocato Andrea Arman, presidente del Coordinamento associazioni banche popolari venete “Don Enrico Torta”, a cui si aggiunge quella dell’avvocato Luigi Fadalti, che rappresenta quasi 300 azionisti e risparmiatori nel processo Veneto Banca: «Le banche sono nate dal territorio per il territorio. Si sono sfilacciati i rapporti etici: una volta quando il credito lo faceva il direttore della cassa rurale guardava fuori dalla finestra e vedeva il falegname che lavorava venti ore al giorno. Sapeva che era una persona meritevole e sapeva le sue esigenze. Oggi il rapporto è ridotto a un algoritmo». Ma sarà affidabile?

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