Anche nel settore moda, quello che a livello Veneto più di tutti gli altri ha subito lockdown e Covid-19. Non c’è disinteresse verso la tematica ambientale, anzi, ma una prudente cautela in attesa che la macchina si possa rimette del tutto in modo. È uno dei dati emersi dalla ricerca fatta dalla società SdV per Confartigianato sulle 4.809 aziende del Padovano inserite nel comparto moda e che comprende il settore tessile e abbigliamento (3.728), calzaturiero (473), sartoria (361) e pulitinto-lavanderia (247): «Delle 400 aziende che abbiamo intervistato, cioè il 10 per cento del totale e quindi un campione attendibile – spiega Katia Pizzocaro, presidente della categoria moda di Confartigianato Padova – attualmente il 57,8 per cento non ha attuato o intende a breve giro attuare azioni per la sostenibilità ambientale, ma bisogna rendersi conto che è il settore più colpito e davanti a un momento storico complesso, c’è chi preferisce navigare a vista prima di fare investimenti. Io, però, guardo con fiducia a quel 36,6 per cento di imprenditori che si è già attivato per rendere più ecologica la filiera produttiva, installando pannelli fotovoltaici, utilizzando materiali ecosostenibili, o incentivando i dipendenti a utilizzare bici elettriche o eliminando tutto ciò che è plastica».
I dati emersi dall’indagine sarebbero incoraggianti o almeno l’invito è guardarli in prospettiva con ottimismo: in termini di digitalizzazione quasi due aziende su tre utilizzano i social network per promuovere i propri prodotti, più della metà possiede un proprio sito web, circa il 40 per cento utilizza un software gestionale e quasi un’azienda su cinque utilizza anche l’e-commerce per vendere i propri prodotti. Il 38,7 per cento è un’impresa femminile: si parla di aziende che hanno almeno il 60 per cento di donne socie. Il 13 per cento sono imprese giovanili ed è qui la chiave di lettura: sono proprio gli under-35 ad avere la spinta più convinta verso il green e verso un futuro più etico. «In un’ottica di sviluppo questo è un tema confortante – prosegue Katia Pizzocaro – anche perché avere aziende che sono orientate a tematiche come queste stimola le grandi imprese a investire nel territorio, soprattutto se pensiamo al Veneto dove l’80 per cento delle realtà ha contratti di terzismo. Oramai i grandi marchi e le multinazionali, pensiamo a quelle francesi, non guardano solamente alla qualità della manifattura, ma anche a processi produttivi virtuosi. I brand richiedono certificazioni specifiche, l’idoneità dei processi di produzione con limitazione all’uso di prodotti chimici. Il tema è sentito e rientra anche nei parametri delle banche che sempre più spesso chiedono alle aziende non solo la solidità economica, ma che sappiano compiere scelte innovative dal punto di vista ambientale». Tra le certificazioni che le aziende padovane hanno ottenuto negli ultimi anni, oltre a quella sulla tracciabilità, la principale è la Gots, (Global Organic Textile Standard) un documento promosso dalle principali organizzazioni internazionali leader nell’agricoltura biologica, al fine di garantire uno sviluppo responsabile e sostenibile nel settore tessile. Tuttavia sono ancora poche le imprese locali: sempre secondo la ricerca, a oggi l’81 per cento non possiede certificazioni.
Il Lanificio Bottoli di Vittorio Veneto ha “conquistato” Etro, grazie alla scelta di investire su speciali lane merino italiane, utilizzate nei soli colori naturali dei velli senza tinture né coloranti, quindi a basso impatto chimico, abbinando cultura del territorio e sostenibilità.