Con i suoi 187 abitanti censiti dall’Istat a inizio 2022, Zoppè di Cadore è il meno popoloso paesello dei Comuni bellunesi. Ma a inizio anno è stato il primo in Veneto a dotarsi di Proxima, una vetrina digitale che permette ai residenti di fare la spesa, in modo innovativo, nell’unico negozio di alimentari presente, riaperto nel dicembre 2021, dopo tre anni di chiusura, grazie all’istituzione di una cooperativa di consumo costituita da cento soci, ovvero più della metà degli abitanti ai piedi del monte Pelmo. Proxima è un totem touch screen, collocato all’interno del supermercato, attraverso il quale l’utente può fare la sua spesa, selezionando anche prodotti non presenti al momento, e questo garantisce a chi vive nelle aree interne di ricevere comodamente nella propria località e nell’arco di 24 ore tutto ciò di cui hanno bisogno. È la comunità che si stringe e fa rete, nonostante le distanze, nonostante l’alta età media e una ferita che anno dopo anno non si riesce a rimarginare: quella di un lato di montagna che vede sempre meno uomini abitarla. Ecco che il pannello Proxima è come il monolito all’interno del geniale film 2001: Odissea nello spazio del regista Stanley Kubrick, è come l’osso scagliato in cielo e poi divenuto astronave. È l’evoluzione che assieme al futuro guarda in avanti. Zoppè e i suoi cittadini sono solo un’infinitesimale porzione della montagna e della sua essenza: è come vivere in un quadro di Pieter Bruegel, il pittore olandese definito padre della “pittura di genere” che nei suoi dipinti portava la propria meditazione sull’umanità, soprattutto contadina, ritratta in episodi quotidiani di meticolosa precisione. Così è la montagna oggi, un gigante fatto di tanti dettagli, da un lato e dall’altro delle pendici: c’è lo spopolamento inarrestabile; ci sono i paesi che si svuotano; ci sono i cittadini ambientalisti che protestano contro ulteriore cemento necessario per la nuova pista di bob in previsione delle Olimpiadi invernali di Cortina nel 2026; ci sono i rifugi che chiedono di riaprire l’area della Marmolada dopo la tragedia di luglio; c’è il cambiamento climatico che proprio quella frazione di ghiaccio millenario sta sciogliendo; c’è chi, esausto della vita frenetica in città e dopo la reclusione pandemica, ha deciso di risalire il fianco e provare un nuovo modo di vivere a contatto con la natura. Un presepe laico e d’altura dove ognuno vive la montagna a suo modo, una montagna in cantiere, da ripensare alla luce delle tante sfide.
Tra la vegetazione e gli animali, sbuca Giancarlo Ferron, nato in un paesino sui colli Berici, una vita come guardiacaccia nel Vicentino, come fotografo è in grado immortalare i dettagli, gli scricchiolii dei ramoscelli, autore di numerosi libri, nel 2009 ha scritto La mia montagna. Qual è, dunque, la sua montagna? E come possiamo far capire a tutta l’umanità che quello che succede in cima interessa anche chi vive a valle? «Per effetto della legge di gravità tuttosi muove e scorre da monte verso valle quindi, metaforicamente, anche da un punto di vista etico e culturale tutto ciò che succede alla montagna ha poi un effetto sul territorio a valle: se spariscono i ghiacciai non ci sarà più acqua nei fiumi; se distruggiamo la natura montana e alpina saranno impoveriti anche gli abitanti della pianura. Costruire nuove strade e piste da scii significa abbattere alberi che producono ossigeno anche per vive in città. È necessaria quindi una transizione culturale che ci porti a cambiare atteggiamento verso la montagna. Per esempio, non considerare più una tragedia lo spopolamento, smetterla di incrementare un turismo insostenibile che porta veicoli, inquinamento, puzza, affollamento e rumore in luoghi che dovrebbero essere silenziosi. Smetterla di usare termini come “conquista” nei confronti delle cime, perché “conquista” è sinonimo di occupazione, di invasione e sottomissione. Chi vuol andare in montagna, da un certo punto in avanti, ci vada a piedi, in silenzio e senza raccogliere nulla. Certo: senza raccogliere nulla. Nessuno ha bisogno dei funghi, di fiori selvatici o di cacciare per vivere. Se le persone avessero un minimo di conoscenza del mondo sotterraneo, costituito dal micelio, credo che nessuno avrebbe più il coraggio neppure di calpestare la lettiera della bosco e tanto meno di raccogliere funghi. Lo so di dire cose impopolari, ma ciascuno provi a mettersi nella pelle di un orso, che se ne sta a casa sua, in santa pace, a dormire sotto un albero e all’improvviso gli piomba addosso una moto da cross oppure una comitiva urlante: immaginate avvenga nella vostra camera da letto in piena notte. Io sogno persone che tornano dalla passeggiata in montagna ogni volta arricchite di conoscenza e di consapevolezza: immagino bambini che imparano a distinguere un abete rosso da un abete bianco, un cervo volante da una rosalia alpina, una salamandra da un tritone e che magari, muovendosi in silenzio, riescono a vedere un capriolo al pascolo. Sogno una società futura che desideri e costruisca oasi di natura selvaggia anche vicino alle città».