I dati dell’Istat registrano una progressiva crescita di stili di vita sedentari, una sedentarietà che significa, appunto, anche pigrizia nella preparazione degli alimenti e la scelta di un’alimentazione non equilibrata, che, alla lunga, portano a situazioni di obesità, oltre che a sviluppare malattie cardiovascolari, come ipertensione, ictus e infarto; e malattie metaboliche come diabete, aumento del colesterolo e dei trigliceridi. Problemi se vogliamo “secondari” per chi è in ristrettezza economica, perché avere un pasto è prioritario rispetto alla qualità del pasto stesso. Guardando l’andamento italiano, il permanere di bassi redditi e un’inflazione superiore a quella media europea hanno determinato nelle famiglie un peggioramento nel consumo di cibi salubri, di qualità ed eco-sostenibili. La percentuale di popolazione con un’alimentazione adeguata nel triennio 2020-2022 è scesa dal 18,7 per cento al 16,8 per cento, mentre aumenta la quota delle famiglie in condizioni di insicurezza alimentare, particolarmente accentuata nelle Regioni del Sud. A crescere è anche la percentuale di obesità tra gli adulti: nel 2015 era del 44,1 per cento, nel 2022 è del 44,5 per cento. Anche l’ASviS, l’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile, segnala una correlazione tra vulnerabilità economica e scarsa disponibilità di cibo, soprattutto di cibo sano. Ne parliamo con Antonella Nassi, dottoressa dietista che opera nella zona delle Terme: «La dieta migliore che abbiamo a disposizione è quella mediterranea, che è stata riconosciuta come Patrimonio culturale immateriale dall’Unesco nel novembre 2010, e che prevede, tra l’altro, l’assunzione di frutta e verdura fresca, grassi polinsaturi, come quelli contenuti nell’olio di oliva, cereali integrali, legumi, olive. Frutta e verdura di buona qualità sono disponibili in molti negozi e supermercati, tuttavia, l’ideale sarebbe acquistare prodotti a chilometri zero per avere una maggiore certezza rispetto alla freschezza e alla genuinità degli alimenti, ma questo comporta una spesa maggiore, che non tutte le famiglie possono sostenere».
Attenzione, però, a sostenere che l’alimentazione sana sia una prerogativa dei ceti più abbienti: «Con una corretta educazione alimentare, anche le famiglie che non hanno una grande disponibilità economica possono alimentarsi correttamente. È importante dedicare un po’ di tempo alla pianificazione di un menù settimanale vario, che non escluda nessuno dei cibi raccomandati dalla dieta mediterranea. In questo modo, si eviterà di consumare sempre il cibo più pratico e veloce da preparare, come una quantità eccessiva di pasta condita con sughi pronti». Per quanto riguarda il fattore economico, sembra un’affermazione banale, ma per spendere meno basta acquistare meno: «Questo non significa certo privarsi del cibo – sottolinea ancora Nassi – Spesso acquistiamo quantità eccessive di un alimento con scadenza a lungo termine perché è in offerta, pensando così di risparmiare. In realtà, spesso questa scorta di cibo finisce dimenticata nel fondo del congelatore o posta meno in evidenza rispetto a cibi con scadenza più ravvicinata, e alla fine, scade e viene buttata». La riduzione dello spreco alimentare, uno dei presupposti per realizzare il Goal 2 dell’Agenda 2030, passa quindi anche attraverso scelte che tutti noi possiamo compiere quotidianamente. «Spesso osservo il modo in cui le persone condiscono un alimento semplice, sano e dietetico come l’insalata e mi capita di vederle versare quantità d’olio esagerate, che rimangono depositate sul fondo della ciotola e quindi sprecate. E si potrebbero fare molti altri esempi», conferma Nassi. Sarebbe inoltre importante conoscere i processi più semplici che stanno alla base della produzione e del confezionamento dei cibi. Per esempio, un cibo molto sano e ricco di vitamina A, C, fibra e sali minerali sono le albicocche essiccate. Tuttavia, soltanto chi ha una conoscenza in termini di nutrizione e chi è “educato” a leggere le etichette pone attenzione all’eventuale utilizzo di anidride solforosa (tossica ma poco costosa) per il processo di disidratazione, e si orienta verso l’acquisto di frutta essiccata ad altissime temperature senza l’utilizzo di sostanze essicanti, e di coloranti, che sono nocivi per la salute. Un altro esempio più vicino alla quotidianità riguarda la scelta dell’olio. Non è opportuno scegliere un unico tipo e impiegarlo indistintamente per tutte le modalità di cottura: l’olio di mais è ottimo a crudo, ma non è adatto alla cottura perché ha un punto di fumo molto basso; per le cotture, le fritture, la preparazione di dolci e per i condimenti di cibi crudi, è meglio prediligere l’olio d’oliva ed extra vergine. L’olio di arachidi è ottimo per friggere.
Alla base di tutto, della riduzione dei costi, del rischio di sviluppare malattie e di una buona alimentazione, c’è quindi l’educazione, che dovrebbe essere attuata fin dalla scuola dell’infanzia. Un’indicazione che rientra anche tra i suggerimenti di ASviS che prevede, tra l’altro, l’adozione di misure in grado di incidere sul sistema dei prezzi per rendere il cibo sano accessibile a tutti, agendo sia sull’offerta, con un aumento di produzione di cibo di qualità e una maggiore cooperazione delle filiere, sia sulla domanda, educando a stili alimentari sostenibili; investimenti nell’innovazione tecnologica in modo da ridurre gli sprechi dalle produzioni agricole; la competitività delle imprese e favorire lo sviluppo di nuovi sistemi agricoli locali.
Per i Paesi sviluppati l’obiettivo 2 si declina essenzialmente come la lotta alle cattivi abitudini alimentari. In Italia, così come in Veneto, la percentuale di minori e adulti con problemi di sovralimentazione negli ultimi anni si mantiene tutto sommato stabile; in Veneto sono in eccesso di peso (sovrappeso o obeso) il 22,5 per cento dei minori (nel 2010 era il 21,7 per cento) e il 43,7 per cento degli adulti, un po’ meno che a livello medio nazionale. La pratica di sani stili di vita non riguarda indistintamente tutte le fasce della popolazione: in Veneto il 30 per cento delle persone con un elevato titolo di studio ha problemi di peso, ma la percentuale sale al 52 per cento per chi ha lasciato presto gli studi.