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Mappe | Mappe 01 – Lo sport – ottobre 2021

mercoledì 13 Ottobre 2021

Sport. Quanto regge un sistema basato solo sul volontariato?

Giovanni Sgobba
Giovanni Sgobba
redattore

Dalle conferme attese come quella di Bebe Vio, a esplosioni sportive come le sette medaglie del veronese Stefano Raimondi, le cinque (con record del mondo) di Antonio Fantin, il record della veterana Francesca Porcellato sul podio all’undicesima partecipazione, le medaglie a raffica di Xenia Palazzo, Luigi Beggiato, Francesco Bettella, Michela Brunelli, Stefano Travisani. E ne stiamo citando solo alcuni.

Il luccichio delle medaglie è specchio della crescita esponenziale di tutto il movimento. Nel censimento redatto dal Cip Veneto si possono toccare per mano i passi fatti in avanti negli ultimi 15 anni: da 39 a 256 società; da 899 a 1.786 atleti; da 26 discipline a 46. Bene, benissimo, a cui segue però quel “c’è ancora tanto da fare” che fa ripiombare tutti nella realtà: «1.800 tesserati in Veneto potrebbero essere tanti, ma sono solo l’1,5 per cento delle persone disabili che potrebbero fare sport – illustra il presidente del Cip Veneto – Ci sono tante famiglie chiuse in loro stesse, poco disponibili ad aiutare, e a cambiare idea, pensano che una persona con disabilità, anche grave, non possa fare sport e più che spingerla, la frenano. Dobbiamo allontanare queste paure: lo sport paralimpico non è come 20-50 anni fa, eppure sono rimaste ancora tante titubanze e noi ci muoviamo porta a porta per convincere le persone. Le paralimpiadi sono una luce, generano nuove iscrizioni, ma sono sempre troppo poche: dobbiamo insistere sullo spirito d’integrazione, crescita dell’individuo e della socializzazione».

Adelaide De Pasquale è mamma di Stefano Frigolorpe, corridore di 28 anni con una diagnosi di autismo. Ha cominciato a 20 anni, prima con i 100 metri e gradualmente è arrivato a gareggiare nei 400, negli 800 e anche 1.500 metri. Lui come atleta, lei all’interno del direttivo, entrambi fanno parte dell’Aspea, storica società padovana con oltre 40 anni di storia, gestita interamente da volontari. Un’eccezione? No. Una consuetudine. Staff, allenatori, direttivo, tutti sono volontari. L’intera impalcatura dello sport paralimpico in Veneto e in Italia si basa sulla passione, determinazione di volontari e genitori. «Beggiato e Faggin fino a qualche anno fa erano nostri atleti – sottolinea con orgoglio e un pizzico di rammarico, Adelaide – Ma quando gli atleti vogliono avere società che sono più strutturate, dove girano più soldi e li riescono a portare in Nazionale, allora ci lasciano».

Il meccanismo di autosostentamento è molto semplice: vivendo principalmente di sponsor, le società provano ad accaparrarsi talenti che possono dar risonanza e prestigio alla struttura stessa e far entrare nelle casse ulteriori soldi da nuovi sponsor. «Di base le società hanno la quota annuale che l’atleta versa, una cifra stabilita dalla stessa società in base alle spese e anche all’affitto e alla gestione delle strutture di cui non è proprietaria – spiega Adelaide – Agli allenatori noi diamo un riconoscimento, un rimborso spese e gli offriamo la trasferta, altrimenti non avrebbero nemmeno questo. Ci sono gli sponsor, certo, ma bisogna cercarseli; ci sono i bandi regionali nei quali si presenta un progetto. Ecco, noi siamo bravi nell’organizzare i campionati nazionali: quando viene scelta Padova come sede dell’evento, abbiamo i fondi per gestire i tornei, ospitare le squadre delle altre regioni, e così via. Ma sono entrate economiche sufficienti solo per organizzare l’evento. Al di fuori di questo, non c’è una distribuzione automatica dall’alto da parte delle federazioni».

Annualmente la cifra da versare per un atleta si aggira attorno ai 300 euro considerando che molto spesso nell’offerta è inclusa già una trasferta. Non troppo dispendioso se pensiamo ai costi delle più generiche palestre. Le altre trasferte sono a carico dell’atleta così come i genitori si pagano gli alloggi autonomamente. Stefano si allenava due volte alla settimana, ora che è passato a livello agonistico si concede tre sessioni a settimana. Ecco, se non è dispendioso economicamente, maggiore è l’impiego di energia per spostarsi da casa in direzione degli allenamenti: diversi atleti, anche adulti, ma non autosufficienti, hanno bisogno di essere accompagnati, e questo soprattutto per una famiglia alla lunga è impegnativo e usurante. E parliamo di Padova che può contare su 50 società spalmate sulla provincia con una capillarità che si fa via via più debole spostandosi in periferia. L’area di Rovigo è coperta, si fa per dire, da solo otto strutture con un sensibile aumento delle distanze e dei tempi.

«Ma se siamo qui – chiosa Vilnai – è perché la cittadinanza ha voglia di fare, di dedicarsi. E i risultati sono la prova tangibile dello sforzo di enti, privati e singoli volontari. Se non ci fosse questa gestione, morirebbe tutto e il sistema collasserebbe. Da un lato è da elogiare, dall’altro ci rendiamo conto che alla lunga chissà quanto sarà sostenibile».

Lo sport non come optional, ma come virtù

Adelaide De Pasquale è anche insegnante e il suo auspicio è che la pratica sportiva sia valorizzata perché «bisogna sempre ricordare che tutto quello che porta autonomia e soddisfazione è un vantaggio per la società perché se l’individuo sta bene è un costo in meno per la stessa società».

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