Chiesa
Siamo immersi in una società che ha fatto dell’individualismo uno dei suoi idoli più radicati e subdolamente pericolosi. È come un clima che tutti ci troviamo a respirare. Di fatto il mainstream ci spinge prima di tutto a soddisfare i nostri bisogni e interessi personali e solo in un secondo momento ad occuparci eventualmente di quelli degli altri. Non solo è importante cercare di arrivare primo, ma anche fuori dalla competizione ciò che conta è riempire il vuoto individuale, accaparrarsi ciò che pensiamo ci serva in abbondanza, facendo scorta e garantendoci la piena (sempre apparente e precaria) autosufficienza. Anche in famiglia si può cedere alla logica individualista dettata dal sentire comune. Quando si cede alla logica individualista, la famiglia si presenta come una somma di elementi a sé stanti che chiedono ciascuno soddisfazione riguardo ad alcune sue richieste. La dinamica che si va instaurando è quella di soddisfare ciascuno – si pensi ai genitori coi figli – salvo non riuscire sempre nell’impresa. Così è facile che chi non si sente appagato nel suo bisogno, accampi un credito nei confronti degli altri e si risenta in uno stato di nervosismo. Chi cerca il proprio appagamento non sempre lo trova e questo porta a incrinare gli equilibri della famiglia. Ciò che può invertire la tendenza è sforzarsi di pensare la famiglia non come un gruppo di “io” quanto piuttosto come un insieme composto da un “noi”. La famiglia deve imparare ad essere una comunità in cui il singolo è chiamato a pensare prima del suo interesse a quello del noi, ovvero dell’insieme dei suoi membri. Una buona famiglia sente di essere un progetto comune di bene in cui non si soddisfano solo i bisogni dei singoli ma si condivide un cammino affinché insieme si costruisca e ci si orienti al bene comune. Ciascuno facendo la sua parte: il padre, la madre, i figli. Quando la famiglia si muove e vive nella logica del noi allarga i suoi orizzonti e davvero diventa un “soggetto sociale” attore e promotore di bene. Non c’è soltanto la personalità dei singoli membri della famiglia, ma una personalità familiare. Se, per esempio, nella nostra era digitale una famiglia rinunciasse a che uno dei suoi membri abbia un computer personale e magari devolvesse il corrispettivo in denaro per quella spesa ad un’opera di carità, ecco che assumerebbe una personalità collettiva del tutto particolare. I membri dotati di pc dovranno saperlo mettere in comune con chi vi ha rinunciato e insieme si manifesterebbe l’attenzione all’altro fin da dentro le mura di casa per poi estenderla fuori a chi è nel bisogno. Si tratta di tenere allenato il cuore a queste scelte di bene che si decidono tutti insieme e per essere pronti a questo c’è bisogno di attenzione e cura che va sistematicamente costruita nel tempo. È come se ciascuno dovesse domandarsi: “devo prima di tutto soddisfare me stesso e i miei bisogni oppure devo avvertire che in questa famiglia sono chiamato a guardare oltre me stesso, chiamato insieme con loro a diventare costruttore di bene?”. L’amore è proprio questo: imparare a dare, consapevoli e riconoscenti per il tanto amore che già si è ricevuto.