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Fasce tricolore meno rosa. «La politica è ancora troppo maschile»
Le recenti elezioni amministrative segnano anche in Veneto il calo delle sindache. Su 84 Comuni al voto, solo 13 sono oggi governati da donne.
FattiLe recenti elezioni amministrative segnano anche in Veneto il calo delle sindache. Su 84 Comuni al voto, solo 13 sono oggi governati da donne.
Bisognava attendere il ballottaggio nei Comuni di Este e di Bovolone per avere il dato statistico e numerico certo. E la “rimonta” di Matteo Pajola sulla sindaca uscente Roberta Gallana e la vittoria di Orfeo Pozzani su Silvia Fiorini non alzano la percentuale finale, anzi, semmai ne danno conferma: sugli 84 Comuni andati al voto in Veneto per scegliere il primo cittadino solo 13 hanno visto la fascia tricolore andare sulla spalla di una donna. Esattamente il 15,47 per cento, dato leggermente al ribasso rispetto la media regionale: 92 amministrazioni su 563 tra città e paesini sono governate da sindache, il 16,34 per cento del totale.
Numeri, se vogliamo, anche “virtuosi” rispetto alla media italiana. Openpolis, alla vigilia dell’ultima tornata elettorale, ha analizzato la distribuzione amministrativa su territorio nazionale: il dato generale sulla quota di donne a ricoprire la carica di sindaca è del 14,86 per cento, valore senza dubbio non omogeneo, che ha in sé anche “eccellenze” rare come la provincia di Trieste in cui si trova il maggior numero di sindache (83,3 per cento). Un dato in controtendenza, certo, anche se è da tenere presente che si tratta di un campione particolarmente ristretto: infatti sono solo sei i Comuni che fanno parte di questa provincia, oggi ufficialmente “Ente di decentramento regionale di Trieste”.
La politica è ancora troppo maschile» è l’opinione di Amalia Serenella Bogana, a cui di certo non manca l’esperienza, riconfermata al terzo mandato alla guida di Alano di Piave. Con la sua squadra, nella quale ci sono altre tre donne, ha scelto di ricandidarsi per “traghettare” il Comune nel percorso di fusione con Quero Vas, un orizzonte che dista circa due anni e mezzo, primavera 2024, quando terminerà il mandato dell’omologo collega e si potrà pensare a un futuro assieme. «Essere sindaco è un impegno gravoso, spesso le riunioni si sovrappongono e anche se si amministra un piccolo centro abbiamo servizi da raggiungere in zone anche distanti, tipo nel Trevigiano. Far coniugare tutto questo è impegnativo, ma quello che posso consigliare alle ragazze e ai ragazzi è di avvicinarsi alla politica senza paura, si impara facendo tesoro degli sbagli. Mi spaventa, invece, questo improvvisarsi, nonostante lauree e percorsi di stu dio ci si deve scontrare con la realtà, bisogna conoscere le dinamiche di un “villaggio” e con umiltà si può senz’altro partecipare alla vita amministrativa».
La realtà è che più scavalliamo dai confini regionali, più le sindache o aspiranti non sono nemmeno entrate in gioco. La sconfitta di Virginia Raggi a Roma e la scelta di Chiara Appendino di non ricandidarsi a Torino sono il manifesto più evidente e illusorio del 2016, quando la tendenza suggeriva altro. Ma se si guardano i sei capoluoghi di Regione andati al voto sono appena 18 su 73 candidati, che diventano appena 30 su 162 se consideriamo anche gli altri 14 capoluoghi di Provincia. Eppure c’è quel 51,3 per cento che deve continuamente ronzarci in testa, ovvero la percentuale di donne in Italia. La maggioranza. Una risposta è da ricercare nei principali partiti politici: proclami sulla parità lasciano il tempo che trovano se dai vertici non ci sono cambiamenti nella selezione della classe dirigente.
Di fatto, contrariamente a quello che si potrebbe pensare, è proprio nei piccoli comuni che si registrano quote più elevate di donne sindache: nelle amministrazioni con popolazione inferiore a 50 mila abitanti, infatti, abbiamo circa il 15 per cento. Percentuale che crolla salendo fino ad arrivare alla grandi città, ora, esclusiva maschile. A Cartura, Serenella Negrisolo si è imposta sulla sindaca uscente Pasqualina Franzolin, per solamente14 voti. Un “duello” femminile, merce rara: «Faccio fatica a rispondere perché personalmente io non ho mai sentito una differenza per cultura familiare – racconta la neoeletta Negrisolo, con un curriculum politico risalente alla prima Repubblica – Mio padre mi diceva sempre che l’unica differenza con mio fratello è che lui poteva portare un sacco più grande: è sempre quello che si ha in testa che fa la differenza. Le variabili sono tante e anche individuali, certamente non mi limiterei a raccontare sempre che la donna ha meno tempo e deve pensare ai figli. C’è una cosa, però, che avverto: sempre meno il singolo cittadino è predisposto a spendere il suo tempo per la propria comunità. Non ci si forma più, sempre meno ci si iscrive alle scuole di politica, gli stessi partiti non orientano e su più livelli queste sono le conseguenze a cui assistiamo».