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Federsolidarietà Veneto. È la mancanza di prospettiva a preoccupare la cooperazione
Federsolidarietà Veneto. Intervista al presidente Roberto Baldo: «Rischiamo di non cogliere le reali esigenze espresse dalle persone oggi»
IdeeFedersolidarietà Veneto. Intervista al presidente Roberto Baldo: «Rischiamo di non cogliere le reali esigenze espresse dalle persone oggi»
Come dopo un terremoto: siamo maestri nell’emergenza, ma incapaci di politiche a lungo termine capaci di abbattere i danni potenziali di un evento che – non sappiamo dire quando – accadrà di certo, ancora, in futuro. L’analisi di Roberto Baldo, presidente di Federsolidarietà Veneto, sullo stato di salute dei servizi alla persone e alla famiglia oggi in Veneto e in Italia non dà adito a dubbi o incomprensioni. Il suo è il punto di osservazione di chi rappresenta le cooperative e le imprese sociali aderenti a Confcooperative, cioè di chi concretizza sul territorio ogni giorno quel welfare disegnato da norme, delibere, patti territoriali. Parliamo, solo in Veneto, di 730 cooperative che ogni anno sviluppano un’attività economica aggregata di oltre 2 miliardi di euro, danno lavoro a 70 mila cittadini e coinvolgono ogni giorno a vario titolo 220 mila famiglie. Un dato che, se letto su scala nazionale, tocca i 7 milioni di italiani.
Dunque, presidente, il sociale ha un problema di prospettiva?«La cooperazione in questo momento non è preoccupata per le leggi ma per il domani, non vediamo nella società la adeguata attenzione per le necessità che la popolazione manifesta: bisogni anzitutto di contatto e di relazione che non sono sufficientemente presi in carico. Siamo tutti protesi a “ricostruire” come dopo un sisma, ma non ci accorgiamo di quanto ci accade accanto».
Ci può fare alcuni esempi?«I nostri operatori che si occupano degli adolescenti hanno sempre registrato conflittualità con i genitori o i medici e gli specialisti che li seguono. Ma le manifestazioni del disagio arrivavano alle urla, al limite all’uso improprio delle mani. Oggi il livello di frustrazione spinge direttamente a pensare all’eliminazione fisica, alla soppressione dell’altro. Se consideriamo invece il caso degli anziani, proviamo a pensare che cosa possa significare portare loro assistenza, per esempio cambiando il pannolone, in soli due minuti e mezzo perché i protocolli e i finanziamenti prevedono questi tempi e non solo».
Qual è ancora la vera causa di questa situazione?«Parlerei di una doppia causa. La prima è l’assoluta prevalenza della dimensione economica anche nel campo del sociale e dei servizi. Siamo arrivati a “industrializzare” tutta una serie di processi che hanno invece necessità umane e relazionali, per le quali il fattore principale è il tempo: tempo che sembriamo non avere più. La seconda grande causa è la mancanza di prospettiva e di visione: non possiamo pensare solo all’oggi o massimo al domani, dobbiamo chiederci che cosa ne sarà della nostra popolazione nell’arco dei prossimi decenni. Per fare un altro esempio: il numero degli anziani cresce continuamente, nel recente passato abbiamo avuto le badanti provenienti per lo più dall’Est Europa, ora non più, chi si occuperà di loro? Occorre dire però che anche all’interno della cooperazione, manca un senso di prospettiva».
Quali azioni dovrebbe mettere in campo la politica a tutti i livelli?«La nostra grande preoccupazione è che Comuni, Regioni e Governo pensino di applicare il Codice del Terzo settore semplicemente assegnando una serie di servizi al volontariato non tanto per rispondere meglio alle esigenze delle persone, ma per risparmiare, il tutto in una logica di bilancio e di consenso. Il fatto che ci siano sindaci che lanciano bandi per figure specialistiche come gli psicologi a 18 euro all’ora la dice lunga… Una norma come la reintroduzione dell’addizionale Irpef regionale produrrebbe un introito di circa 300 milioni di euro di cui potrebbero beneficiare molti settori, compresi agricoltura e commercio, ma si preferisce soprassedere per non “mettere le mani nelle tasche dei cittadini”. Ma se poi la sanità arranca e si deve ricorrere al privato, le disuguaglianze aumentano»
Sono passati 40 anni dal fiorire delle cooperative sociali in Veneto, che fine ha fatto quello slancio culturale? «Nel tempo quella cultura si è un po’ persa, ma la stiamo ritrovando. Tutto è nato per dare un posto di lavoro a tutti quei giovani che avevano già fatto la scelta forte dell’obiezione di coscienza. Le cooperative avevano una forte carica ideale,condite dalla necessità di fare insieme. Nel tempo è prevalsa la logica del posto di lavoro, ma oggi stanno tornando in primo piano tutti quei lati del lavoro che superano il solo introito economico. Noi stessi come federazione spingiamo molto su questi aspetti che crediamo fondamentali per la realizzazione della persona».