“Dobbiamo davvero volgere uno sguardo diverso al tema delle aree interne, non semplicemente aggiustamenti in corsa che finiscono nel più generale sistema di distribuzione acritica di finanziamenti e di favori senza visione”. È l’appello del Forum delle Aree interne, a conclusione della sua settima edizione, che si è svolta a Benevento il 25 e il 26 settembre e che ha visto il confronto sulla possibilità di utilizzo mirato delle varie potenzialità di carattere sociale e culturale appartenenti a numerosi territori definiti fragili e in via di estinzione. Al coordinatore del Forum delle aree interne, Nico De Vincentiis, chiediamo di parlarci dell’incontro.
Il Forum delle aree interne è arrivato alla settima edizione: quale il bilancio e quali le prospettive future?
L’iniziativa si è rivelata uno spartiacque rispetto al dibattito a singhiozzo che caratterizzava, in particolare dal dopoguerra, le realtà dell’entroterra meridionale. Da sette anni si parla con maggiore coinvolgimento di questione nazionale, che attraversa il Paese con i suoi borghi, le sue identità e le sue potenzialità frustrate. Stavolta
la sessione del Forum ha tentato di mettere a fuoco proprio una parte importante del dibattito ma scarsamente valorizzata, i beni culturali e i percorsi artistici. Anche come opportunità lavorativa. Bilancio e prospettiva così s’incontrano a favore dei giovani.
Nella lettera del presidente della Repubblica all’arcivescovo di Benevento viene evidenziato che il “venir meno di supporti alla convivenza locale, nella sua dimensione civile ed economica, spinge e aggrava la marginalizzazione dei centri minori che, pure, durante la pandemia e in funzione del crescere della digitalizzazione, hanno potuto conoscere significative rivalse, a conferma del ruolo che posso svolgere”, quindi smentisce il luogo comune che ci siano meno servizi e infrastrutture perché quei luoghi si sono spopolati. Che ruolo devono rivestire politica e istituzioni per un rilancio delle aree interne?
Il messaggio del capo dello Stato al Forum è in linea con la dura lettera-appello rivolta da circa 150 cardinali e vescovi a Governo e Parlamento. In essa veniva sollecitato uno sguardo diverso al tema delle aree interne, non semplicemente aggiustamenti in corsa che finiscono nel più generale sistema di distribuzione acritica di finanziamenti e di favori senza visione.
Il Forum da anni si spinge sul versante della riconversione qualitativa della problematica rispetto a quella quantitativa che ancora oggi determina statistiche e scelte istituzionali.
Con incredibili scivolate come l’ipotesi avanzata nel documento programmatico della Snai (Strategia nazionale aree interne, ndr) in cui si parlava di “accompagnamento all’estinzione per le realtà in declino irreversibile”. Proprio l’iniziativa dei vescovi ha fatto sì che quel paragrafo venisse poi cancellato.
Nel 7° Forum si è parlato della sfida della bellezza e del futuro creativo: come bellezza e creatività possono aiutare le aree interne ad avere un futuro?
Gli amministratori provino a rischiare di perdere qualche voto alle elezioni ma facciano delle scelte evitando di distribuire solo risorse a scopo clientelare.
È urgente liberare la bellezza, riscoprire il suo ciclo, dalla natura ai beni culturali, dal racconto del passato alle storie resilienti di comunità dinamiche ma con scarsa contrattualità nelle società-turbo.
Il ciclo della bellezza si chiude però solo con la nostra scelta di parteciparvi attivamente. Solo così la meraviglia sopravvivrà al freddo computo dei nostri passi, alla meccanica dell’ordinario sempre più alienante e virtuale.
Su quali leve culturali puntare per uno sviluppo delle aree interne?
Toccare con mano, stupirsi, non sembrano più prerogative dirette dell’uomo ma anch’esse affidate alle protesi tecnologiche alle quali ci affidiamo per compiere i gesti quotidiani. Il 58% dei giovani non ha mai messo piede in un museo o sito archeologico, uno su tre non comprende il testo che legge. Certo, così la bellezza appare solo un varco nella folla di immagini spente, non è più lo spettacolo che emoziona ma una ferita da rimarginare.
Potranno farlo le scelte governative per il futuro del Paese, da un grande piano per il controesodo alla restanza virtuosa accompagnata da una creatività sostenibile. Leve importanti e uniche per lo sviluppo esistono, dal turismo al paesaggio, all’arte e beni culturali. Ma soprattutto il senso di comunità che rappresenta il vero Pil dei borghi.
E la questione-lavoro?
Uno dei panel del Forum recitava: “Cultura, perché no”. Una chiara risposta a quel ministro che avvertiva i giovani che con la cultura non si mangia. Certo
se trasformiamo le speranze giovanili in una competizione tra poveri la prospettiva di uno sviluppo diseguale si fa molto concreta.
Riusciremo però a trasformare l’economia dei progetti in un progetto di economia?
Perché avete invitato Mogol al Forum e cosa ha detto?
Mogol, milanese, ha scelto da anni di vivere nell’area più interna dell’Umbria che è la regione più interna d’Italia. Qui ha creato un villaggio in cui è inserito il Cet (Centro di eccellenza universitario della musica popolare) che forma cantanti, autori e musicisti. E soprattutto uomini capaci di “manifestare il loro amore nelle azioni per il bene comune” come ha ricordato ai giovani del Forum.
Cosa possono fare la società civile e la Chiesa per dare un futuro alle aree interne?
Moltissimo, in particolare per superare l’eclissi partecipativa che colpisce l’intero Paese.
Oggi i politici organizzano elezioni, le istituzioni faticano e la politica resta senza i titolari di ruolo, serve un nuovo orizzonte sociale e politico, non strumentale. Bisogna operare per il bene comune, superare gli egoismi e l’indifferenza, scegliere di dichiarare… guerra a chi dice: lasciatemi in pace. La Chiesa abbia meno timore di condividere la prima linea e i vertici istituzionali non inseguano solo la prima fila.
Cosa può aiutare i giovani a essere protagonisti del futuro delle aree interne e di non andare via?
Esperienze di rigenerazione coerenti con le originalità locali e in grado di rilanciare l’identità rispetto alla frammentazione sociale; incentivi economici e riduzione delle imposte; soluzioni di smart working e co-working; innovazione agricola; turismo sostenibile; valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici; piani specifici di trasporto; recupero dei borghi abbandonati; co-housing; estensione della banda larga; servizi sanitari di comunità; telemedicina.
Di quali “parole nuove” hanno bisogno le aree interne?
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Di una sola: speranza.
Sembrerebbe una banalità ma questa parola, se declinata nel suo senso più alto e decisivo, significherebbe attendere a qualcosa e non attesa di qualcosa come semplice ottimismo passivo. La vera speranza è un lavoro di gruppo ma non abbiamo purtroppo ancora imparato a sperare insieme.
In che cosa consiste il progetto nazionale con testimonial il fossile di dinosauro Scipionyx Samniticus (detto Ciro)?
Un piano articolato di iniziative per compilare una sorta di “Ciro d’Italia” con l’importantissimo reperto paleontologico (115 milioni di anni di età e di assoluto valore scientifico mondiale), accompagnato da giovani studenti, artisti e da divulgatori scientifici, a rappresentare i beni culturali presenti in moltissimi centri della dorsale appenninica interna ma ancora sconosciuti.
Una campagna significativa per la salvaguardia del pianeta e contro l’estinzione di pezzi di memoria. Si cercherà di svelare tanti tesori nascosti al grande pubblico e nel contempo creare nuovi motivi di interesse culturale. Abbiamo messo insieme una decina di Soprintendenze con la volontà di dialogare e fare sistema nella rete della bellezza.