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Rubriche | I Blog/Quant'è bella giovinezza - don Paolo Zaramella

martedì 26 Febbraio 2019

Giovani spariti? Serve il coraggio di guardarli come Dio

Quant'è bella giovinezza. Oggi i giovani rischiano di diventare invisibili per gli adulti, anche all'interno delle nostre comunità. Eppure esistono...

Paolo Zaramella

Girando per le parrocchie, quando domando «E con i giovani come va qui?», a volte mi sento rispondere: «Qui da noi i giovani non ci sono». Statisticamente impossibile. Certo, i giovani sembrano non esserci perché non li vediamo a messa o non frequentano il centro parrocchiale (escluso il tempo della sagra) ma… non possono non esserci, nonostante l’inarrestabile decremento della natalità!

Il problema è che oggi i giovani diventano spesso invisibili per gli adulti, per una politica che si appoggia abilmente sui voti degli over sessantenni, talvolta anche per alcuni uomini di Chiesa che dicono demagogicamente di volerli ascoltare. Ahimè, accade anche nelle nostre comunità… che non li riescono a vedere. E i giovani stessi, riprendendo il discorso di papa Francesco alla gmg di Panama, iniziano a sentirsi invisibili, abbandonati, privi di considerazione e di spazi in cui sentirsi interpellati.

Per gli adulti non è solo una questione di miopia ma è un problema di fede: «Come penseranno che Dio esiste se loro stessi, questi giovani da tempo hanno smesso di esistere per i loro fratelli e per la società? Cosa faccio io con i giovani che vedo? Li critico, o non mi interessano? Li aiuto, o non mi interessano? È vero che per me hanno smesso di esistere da tempo?». Mentre ascoltavo queste parole del papa, percepivo queste domande risuonare con forza dentro di me, come prete e adulto. «I giovani – proseguiva il papa – bisogna guardarli con gli occhi di Dio. Don Bosco lo fece, seppe fare il primo passo: abbracciare la vita come si presenta; e, a partire da lì, non ebbe paura di fare il secondo passo: creare con loro una comunità, una famiglia in cui con lavoro e studio si sentissero amati. Dare loro radici a cui aggrapparsi per poter arrivare al cielo. Per poter essere qualcuno nella società. Dare loro radici a cui aggrapparsi per non essere abbattuti dal primo vento che viene. Questo ha fatto don Bosco, questo hanno fatto i santi, questo fanno le comunità che sanno guardare i giovani con gli occhi di Dio. Ve la sentite, voi grandi, di guardare i giovani con gli occhi di Dio?».

Cerchiamo adulti significativi che possano farsi compagni di strada dei giovani. È una vocazione che dobbiamo individuare e riconoscere con urgenza nelle nostre comunità. Andranno formate e preparate ad hoc queste figure, e come Ufficio di pastorale dei giovani, insieme a don Federico Giacomin e a Giorgio Pusceddu, stiamo riflettendo anche su questo cantiere. Ma tutto parte da uno sguardo: dalla disponibilità a guardare i giovani con lo sguardo di Dio. Senza questo presupposto non si può essere accompagnatori di un giovane, nemmeno se si vantano corsi o qualifiche. Lo sguardo di Dio per i giovani è uno sguardo sul presente, fatto di accoglienza incondizionata, stima e fiducia, di ascolto autentico. Ma è uno sguardo anche sul futuro dell’adulto che sta nascendo in loro; è uno sguardo che sa generare futuro, che aiuta a rispondere alla domanda sul “per chi” vivere, amare e lottare; è uno sguardo che sa attrezzare per il domani, in quelle tre basi che indicava papa Francesco, e senza le quali non si può sognare il domani: famiglia, studio/lavoro e comunità.

I giovani ci sono, questo affermano le statistiche. Non ci sono spesso nei nostri spazi, anche questo è vero. Ma non significa che dobbiamo alzare bandiera bianca e rassegnarci a dire sconsolati: «Qui da noi i giovani non ci sono». Tutti noi adulti (e non solo i preti) siamo provocati a cambiare stili, metodi, linguaggi e ambienti per incontrare i giovani. Sapremo allora raccontare loro qual è la radice che ci tiene ancorati stretti alla terra e che ci proietta al cielo?

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