Chiesa
Quest’anno la memoria di sant’Ignazio di Loyola capita nel pieno delle celebrazioni di quella che è indubbiamente la fase più vivace, sgargiante e coinvolgente dell’anno giubilare: la settimana dedicata ai giovani, che da tutto il mondo si sono riversati a Roma per celebrare l’anno di grazia, e attestare che la Chiesa è ancora viva, nonostante tutto quello che all’interno e dall’esterno di essa si oppone alla sua vita e alla sua crescita.
Anche la mia parrocchia, come tante altre nell’Urbe, sta ospitando questo colorato via vai di ragazzi, pieni di energia, sorrisi, canti ed entusiasmo, e queste vicende, che riscaldano il cuore di un povero prete nel crinale mediano della vita, e che non di rado è tentato dalla stanchezza, mi hanno indotto a volere riflettere per questa occasione su un punto particolare della vicenda interiore di Ignazio di Loyola.
Dopo la sua convalescenza, quando ha iniziato a cogliere quella differenza dei pensieri che è alla base del discernimento, il nostro inizia a vagheggiare dove potrà portarlo la vita nuova che desidera intraprendere:
“Con tutti i suoi grandi desideri di servire Dio in quanto riusciva a capire, essa era ancora cieca: quando decideva di fare grandi penitenze, non badava tanto a scontare i propri peccati quanto a far cosa gradita a Dio e piacergli. Così pure quando gli veniva in animo di compiere una penitenza fatta dai santi, si proponeva di fare altrettanto e molto di più. Provava un grandissimo orrore per i peccati della vita passata; ma il desiderio di compiere cose grandi per il servizio di Dio era così vivo che, pur non giudicando che i suoi peccati fossero già perdonati, tuttavia nelle penitenze che si imponeva non pensava molto ad essi. E si consolava tutto, solo per queste considerazioni, senza darsi pensiero delle cose interiori, senza rendersi conto di che cosa fossero l’umiltà, la carità, la pazienza, e di come discernere la regola e la misura di queste virtù. Invece suo unico obiettivo erano quelle grandi azioni esteriori, perché le avevano fatte i santi a gloria di Dio, senza porre mente ai loro aspetti più propriamente spirituali.” (Autobiografia, n. 14).
Con sottile ironia e compassione, il vecchio Ignazio guarda al sé di allora, e ammette che, all’inizio, la sua conversione era stata tale solo per modo di dire: la sua mentalità di sempre aveva cambiato colore, ma non sostanza, e ancora si appoggiava all’idea di dover fare gesta grandiose per meritare fama, sebbene nei confronti di una diversa corte, quella celeste. Aveva iniziato a camminare proprio quando era stato azzoppato, ma ancora non aveva raggiunto lo spirito, ancora non era cambiato davvero – tant’è che di lì a poco valuterà se fosse il caso di pugnalare un moro che aveva secondo lui arrecato offesa alla Dama per eccellenza, la Beata Vergine!
Ignazio avrebbe dovuto soffrire tanto, e misurarsi con il tributo pesante degli scrupoli, tipico sintomo di chi si interpreta come protagonista nella relazione con Dio, e così venire purificato e ridimensionato, e finalmente incontrare Dio nel grido di aiuto: “”Soccorrimi tu, Signore, perché non trovo nessun aiuto negli uomini, né in altra creatura. Se solo fossi certo di poterlo trovare, nessuna fatica mi sembrerebbe troppo gravosa. Mostrami tu, Signore, dove posso trovarlo. Anche se, per averne aiuto, dovessi andar dietro al fiuto di un cane, lo farò.” (Ibidem, n. 24).
A quel punto Ignazio si convertirà davvero, perché si renderà conto che la sua salvezza non dipendeva da lui, ma dall’iniziativa misericordiosa di Dio, e inizierà a sentire nel cuore l’amore.
Dobbiamo augurarci per ognuno di noi, e specialmente per tutti questi giovani meravigliosi, che ancora ci sono, che ancora si muovono e partecipano e condividono, che nella Chiesa qualcuno sappia additare loro la via che porta al cuore, e che passa inevitabilmente dall’esperienza del limite e dal contatto con la propria fragilità di creature appese al filo del respiro di Dio che le mantiene in vita, così che possano davvero, sostanzialmente e definitivamente, diventare credenti.
Quando i canti e i raduni cesseranno, e torneranno alla loro ferialità piena di sfide, preghiamo perché noi pastori possiamo essere in grado di prenderli per mano e accompagnarli dalle periferie al centro di se stessi, perché lì soltanto troveranno una luce che non tramonta: la presenza di Dio in loro e, con essa, quella di tutti i fratelli, con loro uniti dallo Spirito Santo all’altezza del cuore.