Che cosa rappresenta il Giubileo per un religioso o una religiosa?
Un tempo di rilettura della propria vita, per cogliere i segni della presenza di Dio, per riscoprire la gioia della chiamata ricevuta e per rinnovare il proprio desiderio di una vita sempre più umana, pienamente realizzata nel dono di sé per amore del mondo.
“Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16).
In un mondo dove enormi interessi economici schiacciano la vita di interi popoli e generano ingiustizie inenarrabili, distruzione delle risorse naturali e morte, ci sentiamo chiamati a essere promotori di nuove relazioni, di perdono, di inclusione, di accoglienza, di giustizia e di pace tra i popoli.
Non possiamo chiuderci nelle nostre strutture a mo’ di cittadelle o di fortezze per preservare una vita incontaminata e sorda al grido che sale dalla terra al cielo. Era questo il senso più autentico del Giubileo che si rinnovava ogni cinquant’anni in Israele: far riposare la terra coltivata perché potesse riacquisire la sua naturale fertilità, promuovere l’armonia sociale e la giustizia con la restituzione delle terre ai loro proprietari originali, la liberazione degli schiavi e la guarigione dei malati attraverso la remissione dei loro peccati da parte di Dio.
Gesù, nella sinagoga di Nazareth (cfr. Lc 4,18-19), omette il versetto del profeta Isaia che parla della vendetta di Dio e si proclama colui attraverso il quale si compie l’anno di grazia del Signore (cfr. Is 61,1-3).
Ma oggi, in questo anno 2025, chi può impedire che anziché l’anno di grazia si compia il giorno della vendetta? Che l’umanità, obnubilata dall’egoismo e dalla divisione, si autodistrugga? Ora che Cristo è salito al Padre e ci ha donato lo Spirito Santo, siamo noi, credenti in lui, che abbiamo ricevuto la chiamata a essere la sua presenza viva nel mondo.
In modo particolare i religiosi e le religiose si sentono in prima linea nella “buona battaglia”. Si tratta di sentirsi responsabili del nostro oggi e del domani di tutti. Ricercare il dialogo tra i popoli, le culture e le religioni. Chi meglio delle comunità religiose può essere laboratorio vivente di integrazione tra diversi, famiglia multiculturale e segno profetico di fronte a chi semina odio verso chi viene da un’altra terra, parla un’altra lingua o crede in un altro Dio.
Il dialogo interreligioso è una delle maggiori urgenze alla quale anche la vita consacrata è chiamata. Solo così possiamo sentirci una sola famiglia, che condivide la stessa vita umana che tutti riceviamo ogni giorno dallo stesso Padre di tutti i fratelli, per evocare l’enciclica di Papa Francesco.
La vita religiosa è un dono ricevuto da Cristo stesso, non per privilegio ma per un servizio più amorevole, capace di trasformare e convertire i cuori non a parole ma con l’esempio di vita fraterna, di preghiera, di lavoro, di condivisione, di rispetto, di perdono e di amore.
Non possiamo più restare nascosti tra le mura dei nostri conventi e della nostra autosufficienza, perché il mondo ha bisogno della luce della fede e della speranza che solo Cristo ci può dare. Noi religiosi e religiose cerchiamo di aprire ogni giorno il nostro cuore alla Parola di Dio e la nostra vita al suo Santo Spirito perché venga e si incarni ogni giorno nelle nostre azioni quotidiane. Allora veramente il mondo vedrà la luce della salvezza e la terra sarà di nuovo feconda di vita.