“Le differenze di cordialità rispetto a sei mesi fa sono importanti. Ma in politica la cordialità è funzionale a qualcosa: in questo caso a far passare una sistemazione temporanea di una questione che non è più utile a tutti: ai russi, agli ucraini, agli americani e anche agli europei”. Così l’analista Alessandro Politi, direttore della Nato Defense College Foundation, commenta al Sir gli esiti del vertice di Trump con Zelensky “accompagnato” a Washington dai leader europei e della Nato.
Che lettura dà dell’incontro di ieri alla Casa Bianca?
Rispetto a sei mesi fa è chiaro che sono cambiate delle cose: ieri c’è stata un’atmosfera più cordiale, non si è vista animosità; il rapporto, almeno quello visibile, fra Trump e Zelensky è parso più disteso. Zelensky è comparso in giacca, simbolismi, che però servono, visto che Trump ha detto chiaramente che non gradiva il look guerrigliero del presidente ucraino. Dopodiché
Oggi i media nostrani enfatizzano la proposta italiana dell’estensione dell’art. 5 del Trattato Nato all’Ucraina al fine di garantirle in caso di attacco esterno un intervento a difesa da parte dei Paesi amici…
L’asciutta realtà è che sono gli europei a dover garantire la sicurezza dell’Ucraina; gli americani hanno detto più volte di volerne stare fuori; coordinano, ma chi fa il lavoro sono gli europei.
La sicurezza dell’Ucraina non è una faccenda degli Alleati Nato, ma europea; e che verrà regolata bilateralmente tra russi e americani, con gli oneri per l’Europa. Bisogna ricordare che la Nato non si occupa dei partner, ma solo degli alleati; l’applicazione “italiana” dell’art. 5 non ha senso di nome e di fatto perché coinvolgerebbe gli Stati Uniti. Gli americani sono fuori dal gioco e vogliono accuratamente tenersene fuori.
Così era con Biden – che ha fatto ‘America first’ senza dirlo perché, se avesse voluto avrebbe fatto entrare l’Ucraina nella Nato – e così è con Trump.
Un elemento di novità è il sì al bilaterale Putin-Zelensky…
Il solo fatto che il presidente ucraino si sia detto disposto a partecipare a questo incontro diretto significa due cose. La prima è che anche lui vuole l’interlocuzione con Putin, dopo aver spesso detto che non lo voleva incontrare. La seconda è che Putin, aggressore, è accettabile.
L’Europa che ruolo ha e può avere?
I leader europei si trovano ancora in fuori-fase rispetto a quello che si sono detti Trump e Putin ad Anchorage. Stanno cercando di recuperare, facendo buon viso a cattivo gioco, e molto probabilmente saranno spettatori esterni del trilaterale Putin-Zelensky-Trump. E poi è tutto da vedere se gli europei saranno in grado di dare all’Ucraina le garanzie di sicurezza. Ricordo che la coalizione di più di 30 membri voleva schierare 30.000 soldati a difesa dell’Ucraina, ma il 14 agosto Starmer ha detto che bisogna ridimensionare i piani perché non sono realistici. Anche dal punto di vista giuridico, poi, ci sono questioni aperte:
con che meccanismo si pensa di schierare i militari? Come una forza Onu? Li garantiamo con una clausola di difesa comune stile 42.7 del Trattato europeo? Ma così sarebbe come far rientrare la Nato dalla finestra quando è uscita dalla porta. E questo non credo lo accettino né i russi, né gli americani.
E questo sembrano averlo capito anche gli ucraini…
Considerato che in Ucraina il partito della guerra ad oltranza non è più in voga,
Zelensky, come si vede da tanti indizi anche non verbali, sta considerando se cedere – de facto e non de iure – alcuni territori alla Russia:
si può discutere su come, sul perché, sulla linea dei fronti… Personalmente ritengo che l’Ucraina debba recuperare fino all’ultimo centimetro del suo territorio, salvo un accordo non certo sulla punta delle baionette. Se noi europei facciamo passare il principio che le frontiere si cambiano de iure, a colpi di cannone, torniamo al 1913 e ad un continente assai pericoloso, anche per i russi.
Si va verso una soluzione del conflitto?
Putin ha bisogno della pace o comunque della sospensione della guerra. In Europa per millenni si sono fatte paci provvisorie: come per i passati governi italiani, c’erano quelle balneari, di transizione o esplorativi.
Le paci durano quanto possono durare. E questo è il risultato netto del vertice di ieri, a valle di una intesa non solo ritrovata, ma mai interrotta fra Putin e Trump. I leader europei si stanno misurando con la realtà
perché, dopo l’incontro di Anchorage, più nessuno ha detto che bisogna continuare la guerra e rifornire di armi l’Ucraina finché non recuperi i territori. E nessuno, tranne Merz, ha sollevato la questione del cessate il fuoco preventivo.
Cosa prevede possa succedere ora?
Questa guerra andava fermata il prima possibile e purtroppo non si è riusciti nel 2022. Bisogna ricostruire una sicurezza continentale condivisa, come di fatto è avvenuto coi sovietici nella Guerra Fredda e durato in decrescendo sino al 2008-2014 coi russi. È cosa estremamente ardua, non solo per la guerra, che ha portato morti, odio, divisioni religiose. Durante il conflitto si è parlato di riparazioni di guerra, processi per crimini di guerra, cose per ora accantonate, ma che pesano nella memoria politica. Il problema per gli europei è che partono da sani principi morali, distorti in manipolazioni ed automanipolazioni politiche: alla fine questo non aiuta a cercare una sospensione del conflitto e, nel tempo, soluzioni più durature.
Dopo i vertici di questi ultimi giorni la fine delle ostilità è più vicina?
Anche Trump, secondo il quale per la pace sarebbero bastate 24 ore, ha ammesso che non è così semplice. Basta ricordare che ci sono voluti due anni con i talebani e, se per l’Ucraina ci si mette di meno, congratulazioni vivissime. In diplomazia si lavora seriamente dietro le quinte, la diplomazia non è un talk show. Come ho già detto,
si tratta non di sdoganare Putin, ma di definire la protezione europea di Kiev,
che sarà decisa da Trump in negoziato con Putin. Senza dimenticare che i cinesi, per i quali la guerra in Ucraina è un fastidioso ostacolo, analizzano con cura le mosse di Trump per comprendere schemi utili per la questione di Taiwan e capire il gioco di Putin.