«Ricordatevi, La Difesa è la nostra parrocchia di carta». Questo il monito che don Alfredo Contran ricordava a ogni incontro con la grande famiglia dei redattori, collaboratori, promotori e pubblicitari. Direttore per quasi trent’anni del settimanale diocesano di Padova, successore di don Francesco Canella, don Alfredo viveva e trasmetteva tutto l’orgoglio di rappresentare la “voce” del mondo cattolico padovano, di esserne la coscienza critica e di offrire lo strumento di dialogo e di incontro tra le sue diverse comunità e sensibilità. Convinto interprete dello spirito conciliare, poneva sempre l’accento sulla parola “popolo”. La Difesa era, e doveva essere, il giornale di tutti. Ogni articolo doveva essere chiaro, scritto bene, sempre comprensibile, titolo accattivante. I servizi di cronaca dovevano accendere i riflettori su tutte le parrocchie della Diocesi, raccontare la vita di comunità, saperne cogliere esigenze e problemi, anche in chiave critica, e far parlare i “protagonisti”. Che, secondo il suo fiuto da vero giornalista, erano sì il sindaco, il parroco, il presidente della cassa rurale, ma soprattutto la nonna centenaria, l’artigiano, il restauratore ancora in attività, i genitori eroici che avevano creato una catena di solidarietà attorno al figlio con disabilità, il campione sportivo di un tempo, o l’attore/regista che aveva dato vita a una compagnia teatrale di successo in un paesino di poche centinaia d’anime.
Don Alfredo sapeva scovare ciò che faceva notizia, e sapeva scegliere le sue fonti e soprattutto i suoi giornalisti. Era stato insegnante di religione al Tito Livio e in quelle classi doveva aver allestito un suo personale talent scouting, perché le firme migliori del giornale erano tutti suoi allievi. Ma sapeva cercare (e trovare) menti brillanti e buone penne anche fuori dalle paludate aule liceali. Sotto la sua direzione per la prima volta le donne hanno fatto ingresso nella redazione e nell’amministrazione del settimanale diocesano: un salto culturale non indifferente negli anni ’80 per un periodico diocesano, che aveva investito in una redazione di giornalisti professionisti tutti con contratto, ed era apprezzata palestra di formazione per i collaboratori. Molti sono approdati a testate regionali e nazionali o a strutture di comunicazione di grandi enti. Don Alfredo era l’anima di quella “parrocchia di carta” da cui tutti, lettori, istituzioni, associazioni, comunità e giornalisti, hanno tratto spunti, idee, ammonimenti, occasioni di incontro e confronto. La sua forza erano l’umanità, la fede, il rigore morale e la chiarezza di idee. Lui ti guardava con i suoi occhi azzurri come il cielo, profondi e disarmanti, ti interrogava, ti ascoltava e poi ti diceva, senza tanti giri di parole, come la pensava. Era un prete in tonaca, un vero pastore d’anime, un maestro attento e accogliente, capace di ascoltare e di leggere dentro il cuore e di infondere carica, energia ed entusiasmo. Forse proprio per questo era un vero giornalista, attento, curioso, sempre in prima linea nell’incontrare la gente, capace di leggere tra le righe e di guardare lontano. Il suo studio da direttore era la prima porta che si incontrava varcato l’ingresso della portineria di via Dietro Duomo 13, a piano terra, storica sede della Difesa. E tante volte era lui stesso, alto, distinto e sorridente, ad aprire la porta al suono del campanello, anche fuori orario. In quella stanzetta poco illuminata, dominata dalla sua scrivania in legno, dall’immancabile Olivetti, dal vecchio registratore e da pile di riviste, libri e ritagli, don Alfredo non solo dirigeva il giornale e impostava il suo editoriale settimanale, ma riceveva il “mondo”. Mi ha sempre stupito la varietà degli interlocutori che varcavano la soglia e si accomodavano sulle scomode sede in legno di quella stanza più simile a un confessionale che a uno studio: parlamentari, missionari, sindaci, volontari, attivisti di partito (e non solo della Dc), insegnanti, presidi, imprenditori, genitori in ansia per il futuro dei loro figli, docenti universitari… Un flusso continuo di varia umanità, nel quale ci infilavamo anche noi, redattori e collaboratori, a nostra volta, per ricevere l’indicazione di servizio, per proporre un tema, per segnalare un problema, per una dritta sul taglio da dare e, più banalmente, per un problema redazionale. Il colloquio con don Alfredo era sempre franco e leale: voleva sapere di te, gli importava del tuo stato d’animo, ti correggeva quando avevi sbagliato, ti incoraggiava quando avevi fatto bene, ti spronava a fare di più. Severo, esigente, ma sempre positivo. Umanamente empatico, riusciva a risolvere anche questioni delicate con un disarmante e sincero: «Credi forse che per me sia
facile?». E uscivi dal suo studio con una nuova carica e ritrovata energia. O addirittura con una benedizione insperata e commovente, come quando ho avuto la gioia di presentargli il compagno di vita e poi condividere la notizia della prima gravidanza.
Poi c’erano le audiocassette… Ho capito solo dopo, nel tempo, l’astuta sottigliezza del maestro. Lui, don Alfredo, nel silenzio ovattato dello studio, accendeva il registratore e intervistava i suoi interlocutori, in primis i missionari che, di passaggio negli uffici della Curia, non mancavano mai di scendere a piano terra a ringraziare quella piccola famiglia di carta della Difesa che spesso rappresentava l’unico foglio che li raggiungeva nelle loro comunità, dall’altra parte del mondo. A colloquio ultimato, don Alfredo entrava furtivo in redazione, o ti chiamava sbrigativo nel suo studio, e ti consegnava la cassetta da “sbobinare”. In realtà, stava insegnando a noi redattori quattro cose in un colpo solo: 1) a fare una intervista e a trovare la notizia; 2) a trasformare una intervista verbale in una scritta, comprensibile, o in un reportage; 3) a contestualizzare un racconto informandosi su storia, geografia e politica estera dei Paesi del mondo, cosa tutt’altro che scontata nella redazione di un periodico di informazione locale; 4) e infine, il metodo: registrare sempre le fonti, per riportare correttamente fatti e dichiarazioni e per non esporsi a contestazioni. Chapeau al maestro! Senza tante prediche o corsi di deontologia, ci ha insegnato il mestiere del vero giornalista.
Nato a Vigorovea il 15 agosto 1925, è stato ordinato nel 1948. Dopo un anno nel seminario di Thiene come prefetto, dal 1949 al1953 è cooperatore ad Asiago. Viene poi nominato vice assistente dei giovani di Azione cattolica (allora Giac) e consulente ecclesiastico del Centro sportivo italiano. Del 9 novembre 1962 è la nomina a vicedirettore della Difesa del popolo accanto a mons.Francesco Canella, cui subentra come direttore nel 1965. Dirige il settimanale diocesano per 28 anni. Nel 1982 diventa anche primo direttore di Dall’alba al tramonto. Ha insegnato religione in vari istituti superiori di Padova, tra cui il Marconi e il Tito Livio. È mancato il 20 ottobre 2007.