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Mappe IconMappe | Mappe 03 – L’abitare – dicembre 2021

martedì 14 Dicembre 2021

I controsensi edilizi. La popolazione diminuisce eppure si continua a costruire

La popolazione diminuisce, cambiano le esigenze, eppure si continua a costruire. E i vecchi edifici sono fuori mercato

Giovanni Sgobba
Giovanni Sgobba
redattore

Il presidente dell’Istat, GianCarlo Blangiardo, ha definito «tendenza inesorabile» la situazione demografica italiana. Dal 2014 la popolazione diminuisce e al 2020 abbiamo perso 1,08 milioni di residenti. Tra le tante implicazioni economiche e sociali che questa emorragia comporta, anche il settore urbanistico di riflesso dovrebbe porsi delle domande. Le previsioni demografiche, infatti, dovrebbero far parte della cassetta degli attrezzi di ogni amministrazione pubblica perché permetterebbero di pianificare i servizi e le necessità delle città, ma soprattutto permetterebbero di studiare i reali fabbisogni urbanistici.

Quante abitazioni serviranno? Di che tipo? Per le esigenze di quale popolazione? Ma perché porsi delle domande proprio ora? Una risposta esaustiva: gli strascichi causati dalla pandemia. «Rispetto al 2019 in Veneto si registra un calo della percentuale di acquisti per investimento, che passano dal 22,1 per cento all’attuale 16,2 per cento, quota molto simile a quella registrata nel 2020 (15,9 per cento) – osserva Marco Anzini, responsabile sviluppo di Tecnocasa – L’emergenza sanitaria ha infatti determinato una maggiore prudenza su questo tipo di compravendite.

Tra chi vende aumenta la percentuale di chi lo fa per migliorare la qualità abitativa, si passa dal 41-42 per cento del 2019 e del 2020 all’attuale 48,4 per cento, conseguenza determinata anche dai periodi di lockdown che in alcuni casi hanno messo in evidenza i limiti della propria abitazione spingendo più persone a vendere per comprare una soluzione migliorativa. Rispetto al 2019 in quasi tutti i capoluoghi veneti si registra un aumento della percentuale di acquisto di soluzioni indipendenti e semindipendenti.

Il Covid-19 ha inevitabilmente spinto all’acquisto di tipologie più ampie e dotate di spazi esterni».A lungo andare la pandemia ha segnato le richieste dei cittadini, sono calate quelle di appartamenti in condominio e sono aumentate per appartamenti trilocali, o con appezzamenti verdi o comunque in zone periferiche dove c’è la possibilità, anche con prezzi più bassi, di avere più spazi. In Veneto, infatti, nel 48,4 per cento dei casi i proprietari hanno venduto per migliorare la qualità abitativa. Ridisegnare le città, partendo da qui, permetterebbe di pianificare gli interventi su basi concrete, senza farsi tirare dalle lobby, soprattutto del cemento.

Di ulteriore cemento. I dati di Infocamere segnalano che nella provincia di Padova le imprese di costruzione, nel corso del 2021, sono aumentate: 15.531 nel primo trimestre, 15.690 nel secondo per arrivare alle 15.804 del terzo.

L’incremento complessivo è stato di 273 imprese nei primi nove mesi dell’anno. Oltre alla nuova edilizia, a incidere è principalmente è il restyling supportato dai superbonus tra facciate da rifare, pannelli solari e cappotti termici per meglio coibentare la casa.

Ai nostri occhi le città si inerpicano su un grande controsenso: sorgono nuovi cantieri, mentre uno stuolo di abitazioni, edifici abbandonati attendono una risposta di rigenerazione e recupero. «Noi consumiamo sempre più suolo per ogni singolo abitante – sottolinea Carlo Cellamare, docente di urbanistica all’Università La Sapienza di Roma e direttore della rivista Tracce Urbane – È un modello sempre più vorace di territorio, che vuole superfici per il commercio e per le infrastrutture. Sicuramente un modello di vita che ha effetti negativi sulla socialità perché riduce le relazioni umane. Noi abbiamo una dimensione di ecologia sociale, forme antropologiche dell’abitare e la pandemia ci ha insegnato la necessità di recuperare la dimensione di socialità, delle reti e la riduzione delle disuguaglianze fra i diversi contesti territoriali. È un problema di giustizia spaziale».

Sulla programmazione urbana, aleggia poi, la direttiva sul rendimento energetico dell’edilizia su cui spinge l’Unione Europea. Nell’ottica di raggiungere gli obiettivi di neutralità climatica, dal 2030, infatti, non potranno essere più venduti e affittati immobili in classe energetica G e dal 2033 gli immobili in classe F.

Significa che, in Veneto, migliaia di case saranno tagliate dal mercato. Secondo le stime di Ance Veneto, un edificio su due è di classe G, ma i numeri possono essere ancor più negativi perché in Italia la normativa risale al 2005, quando è entrata in vigore “l’Ace”, l’attestato di certificazione energetica. Verrebbe da teorizzare che tutte le abitazioni costruite prima di quell’anno sono senza obblighi energetici. Parliamo di oltre un milione di edifici (secondo l’ultimo censimento Istat datato 2011). «Noi abbiamo un problema di politica abitativa – è il monito di Carlo Cellamare – La casa pubblica è ferma dalla fine degli anni Novanta, sono quasi vent’anni che non si costruisce una casa pubblica, eppure abbiamo una domanda abitativa ancora molto forte dettata dalle nuove povertà ed esigenze. Ecco perché dovremmo puntare sul riuso del patrimonio abbandonato: sarebbe un ritorno a una densificazione intelligente che non significa costruire, ma riutilizzare il già costruito. Non lo riattivi con il bonus, ma “solo” con l’investimento pubblico».

Il Pnrr è un punto di domanda

Il bando PinQua (Programma innovativo nazionale per la qualità dell’abitare) ha visto approvare 159 proposte di progetti di rigenerazione urbana e di edilizia residenziale pubblica per un valore complessivo di 2,82 miliardi di euro.

Cifra finanziata dal Pnrr. Il bando, secondo Carlo Cellamare, è gestito dal Ministero dell’interno perché nasce come contrasto al degrado e sicurezza delle periferie: «In realtà puntano solo alla riqualificazione degli edifici, senza progettare cosa si fa dentro, se vengono abbandonati o attivati servizi. È questo che fa la rigenerazione.

Il Pnrr rischia di essere un po’ un fallimento perché valorizza l’immobile, invece dovrebbe investire sulla stessa organizzazione pubblica. Dovrebbe sostenerla, formarla con interventi mirati e alla lunga efficenti».

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