IdeeRapporto Caritas 2022. Sono coloro che, nati in una famiglia in difficoltà, rimangono nella stessa posizione dei genitori. E in Italia sono in aumento
In Italia, se si nasce in una famiglia povera, occorrono cinque generazioni per salire la scala sociale (la media Ocse è di 4,5 anni). Viene chiamata “povertà intergenerazionale” o “ereditaria” e si usa la metafora dei cosiddetti “pavimenti e soffitti appiccicosi”: sono quelli che impediscono ai giovani di riscattarsi da situazioni sociali difficili. Sei assistiti Caritas su dieci risultano “poveri intergenerazionali”: sono rimasti cioè intrappolati nei pavimenti appiccicosi. E tra i nati da genitori senza alcun titolo, quasi uno su tre si è fermato alla sola licenza elementare. Sono alcuni dei dati emersi dal Rapporto 2022 su povertà ed esclusione sociale in Italia intitolato L’anello debole, realizzato da Caritas italiana e presentato a Roma lunedì 17 ottobre. Con 5,6 milioni di poveri assoluti in Italia (il 9,4 per cento della popolazione, pari a 1 milione 960 mila famiglie), di cui 1,4 milioni bambini (fonte Istat), l’Italia risulta anche l’ultima tra i Paesi industrializzati per mobilità sociale ed educativa: solo l’8 per cento dei giovani con genitori senza titolo superiore ottiene un diploma universitario (la media Ocse è del 22 per cento). Al contrario, la percentuale sale al 65 per cento per i figli dei laureati. Per i nati in famiglie poste in fondo alla scala sociale diminuiscono le chanches di salirne i gradini: il 28,9 per cento resterà nella stessa posizione sociale dei genitori.
«Il tempo che ci si apre davanti, soprattutto di fronte al nuovo Governo, è un tempo in cui si è chiamati nel discernimento a scegliere le giuste priorità – ha osservato don Marco Pagniello, direttore di Caritas italiana – Un compito difficile, ma un compito che le persone che abbiamo delegato a governarci devono assumersi con tanta responsabilità. C’è una povertà culturale del nostro Paese, facciamo fatica a imparare dalle nostre esperienze, a mettere a sistema quello che la vita ci insegna, quello che, per esempio, la pandemia ci ha insegnato, quello che i giovani continuamente ci chiedono: la voglia del protagonismo dei giovani, che non sono soltanto il futuro, ma sono anche il presente del nostro Paese». I centri di ascolto e le Caritas diocesane offrono, inoltre, uno spaccato significativo su come sta cambiando la povertà in Italia. Nel 2021 sono stati erogati quasi un milione e mezzo di interventi di aiuto da 192 Caritas diocesane. Almeno 227.556 sono state le persone supportate dai soli servizi Caritas in rete. Rispetto al 2020 c’è un incremento del 7,7 per cento di nuovi beneficiari, soprattutto stranieri. Non sempre sono nuovi poveri ma persone che entrano ed escono da una situazione di bisogno. Chiedono aiuto sia uomini (50,9 per cento), sia donne (49,1 per cento). Cresce l’incidenza delle persone straniere (55 per cento), con punte che arrivano al 61,2 per cento nel Nordest. L’età media dei beneficiari è di 45,8 anni. Tra gli utenti Caritas si rafforza nel 2021 la correlazione tra stato di deprivazione e bassi livelli di istruzione. Aumentano quelli che possiedono solo la licenza media (dal 57,1 per cento al 69,7 per cento). Tra loro vi sono anche persone analfabete, senza alcun titolo di studio o con la sola licenza elementare. Nelle regioni insulari e del Sud il dato arriva rispettivamente all’84,7 per cento e al 75 per cento. Correlato al livello di istruzione è il dato sulla condizione professionale, legato anche alla situazione causata dalla pandemia: cresce l’incidenza dei disoccupati o inoccupati che passa dal 41 per cento al 47,1 per cento; si contrae la quota degli occupati che scende dal 25 per cento al 23,6 per cento. Le persone senza dimora incontrate nel 2021 sono state 23.976, pari al 16,2 per cento dell’utenza: sono per lo più di uomini, stranieri, con un’età media di 43,7 anni.
