Non doveva essere un libro, ma un’attività di stimolazione cognitiva basata sul ricordo. Poi invece l’entusiasmo degli anziani, le preziose testimonianze emerse e la bellezza di quanto riaffiorava alla memoria hanno fatto nascere il progetto del libro No gavevimo niente, ma gavevimo tutto, prodotto dalla casa di riposo San Giuseppe della parrocchia Santa Giustina di Roana e curato da Martina Giacobbo e Annachiara Costa, rispettivamente educatrice professionale e psicologa-psicoterapeuta della casa di riposo. Stampato nell’aprile di quest’anno, il libro è frutto di un lavoro di un paio di anni. «Ci siamo accorti che gli anziani partecipavano volentieri – raccontano le due curatrici – e che soprattutto condividevano con gioia i loro ricordi, così abbiamo pensato di raccoglierli. Fin da subito si sono messi in moto per riportare alla memoria il loro passato, la loro infanzia e giovinezza. Lo stimolo di partenza era una lettura relativa al momento temporale che stavamo vivendo – inverno, periodo natalizio, carnevale – e poi da lì chiedevamo come vivevano da giovani questi momenti, come affrontavano queste esperienze». L’attività è durata un paio di anni, con un incontro a settimana e una quindicina di anziani che si turnavano di volta in volta. In totale una ventina quelli coinvolti nel progetto, fra i 70 e gli 80 di età, ma non sono mancati i novantenni e anche i centenari. «Nell’anziano è molto più facile ricordare gli anni della gioventù – spiega Martina Giacobbo – gli anni passati rispetto ai più recenti anni. E i nostri ospiti avevano dei ricordi molto nitidi del passato. Questo progetto si inserisce in un percorso più ampio legato all’aspetto cognitivo. Gli anziani hanno reagito molto bene all’attività. Dopo una titubanza iniziale si sono proprio affidati, perché c’è un rapporto molto familiare. Noi non ci presentiamo come le professioniste, ma come dei lavoratori che sono lì per loro, per ascoltarli con molto affetto e con molta vicinanza emotiva». Il libro è suddiviso in 31 capitoli o temi che rappre sentano i momenti salienti della vita di un tempo. Non solo le festività come Natale e Pasqua, il 1° novembre, ma anche il fidanzamento, la transumanza, il servizio militare, l’emigrazione, le tradizioni popolari, la guerra. E poi aspetti legati al territorio come il ponte di Roana o la Vaca Mora, il trenino a vapore che si arrampicava dalla pianura vicentina fin sull’Altopiano. I vari racconti non sono firmati ma ciò che emerge è un lavoro collettivo. «Il bello di questa attività – sottolineano le due curatrici – è che poi continuava anche una volta terminata l’ora. Il confronto sull’uso di un termine o di un altro, il ricordo di come “si faceva” qualcosa continuava anche dopo. Per noi è stato importante rimanere fedeli al loro racconto e quindi abbiamo cercato di trascrivere subito quanto ci raccontavano, mantenendo lo stile semplice del parlato e soprattutto l’uso del dialetto. Ci interessava conservare le espressioni dialettali, le parole in cimbro che sono emerse. Poi, essendo di tanti paesi diversi dell’Altopiano, si coglieva una certa differenza nelle espressioni». Gli aghi dell’albero di Natale, ad esempio, ad Asiago sono i pekkele, a Cesuna le pieste; oppure la cartella per andare a scuola in cimbro era il ruk-sack, lo zaino. «Un momento delicato – confidano Giacobbo e Costa – si è presentato quando abbiamo parlato della guerra: è stato molto emozionante per gli ospiti ricordare quel periodo difficile della loro vita. Ma nonostante tutto, quello che è emerso – e che abbiamo voluto anche evidenziare nel titolo – è che pur essendo molto poveri erano comunque molto solidali fra loro, si aiutavano l’uno con l’altro. C’era un’idea di comunità molto sentita, le famiglie non erano solo allargate, ma vi facevano parte, in qualche modo, anche i vicini. Non c’era invidia. Una vita sicuramente più difficile sotto tanti punti di vista, ma c’era un grande senso di solidarietà. Tutti aiutavano tutti, nei lavori dei campi, nell’accudire le bestie, ci si aiutava l’un l’altro e diventava un’abitudine, non era necessario chiedere una mano. E poi c’era senso del rispetto. Un episodio simbolico lo spiega bene: a carnevale c’era l’usanza di mettere sul balcone i crostoli. Chi passava, bambini, ragazzi, adulti, li poteva prendere. Ma gli ospiti ci hanno assicurato che tutti ne prendevano solo uno, per rispetto e per lasciarli a tutti. Cosa succederebbe oggi…?». La commozione si è poi fatta sentire nel vedere il libro pubblicato: «Dare voce ai loro ricordi, è un modo per mantenerli in vita. I parenti degli anziani che nel frattempo sono mancati hanno riconosciuto il loro caro nelle parole dei racconti».
Nata nel 1907 per iniziativa della parrocchia, poi inaugurata il 7 ottobre 1922 insieme all’asilo infantile, alla sala del teatro e ad altre opere, oggi la casa di riposo San Giuseppe accoglie 72 anziani, di cui 64 non autosufficienti e continua a essere gestita dalla parrocchia.
Una copia del libro è stata consegnata da don Lino Prearo, parroco di Santa Giustina di Roana, anche a papa Leone XIV (in foto), quando si è recato a Roma per il 50° di sacerdozio. Inoltre per diffondere le testimonianze e i ricordi raccolti, alcune copie sono state regalate alle scuole dell’Altopiano e alle biblioteche. L’importanza della pubblicazione è stata riconosciuta anche dalla biblioteca Bertoliana di Vicenza che ne ha richiesto una copia per conservarla nell’archivio storico. Per chi lo desidera, il libro è disponibile presso la casa di riposo San Giuseppe, al cinema Lux di Asiago o presso la parrocchia.