Mosaico
Appena cinque centimetri d’altezza, altrettanti di diametro: eppure il calamaio bizantino del 10° secolo conservato al Museo diocesano di Padova è oggi al centro di importanti ricerche. Lo studio interdisciplinare, condotto dalla storica dell’arte Valentina Cantone e dallo storico e filologo Niccolò Zorzi, entrambi docenti presso l’Università di Padova, nasce all’interno di una collaborazione ormai consolidata tra Museo e Ateneo patavino: un esempio concreto di come la ricerca accademica possa valorizzare il patrimonio ecclesiastico.
Realizzato in argento dorato e utilizzato fino a tempi recenti per portare l’olio crismale, il calamaio porta inciso il nome del calligrafo Leone, attivo alla corte costantinopolitana, dato che ha permesso di confermarne la datazione e il contesto di produzione. Il contributo principale dei nuovi studi riguarda però soprattutto l’interpretazione dell’iconografia: «Finalmente riusciamo a dare un senso coerente a un oggetto finora ritenuto enigmatico», ha spiegato la professa Valentina Cantone.
Filo conduttore è il sangue: sul coperchio infatti compare la testa di Medusa, il cui sangue – nella lettura proposta – sembra idealmente gocciolare nel contenitore. Lo stesso sangue dal quale, secondo il mito, nascono i serpenti rappresentati sui lati assieme alla figura di Giacinto, giovane amato da Apollo e ucciso per errore dal dio. Un percorso simbolico che rinvia all’uso originario del manufatto: probabilmente un contenitore di inchiostro purpureo, la preziosa tinta riservata ai documenti della cancelleria imperiale e ai libri sacri.
Giunto a Padova nel Quattrocento, dono del capitolo dei canonici al vescovo, il calamaio si presenta in condizioni di conservazione eccezionali ed è oggi uno degli oggetti più rari e preziosi del suo genere. È un testimone unico della cultura costantinopolitana, capace di andare oltre la visione diffusa di un’arte bizantina irrigidita nella sola spiritualità ieratica. Al contrario, rivela una sorprendente apertura alla tradizione classica e una ricchezza iconografica che solo ora può essere pienamente compresa, grazie a un lavoro congiunto che intreccia ricerca scientifica, competenze museologiche e pastorale culturale.