I protagonisti del nuovo interessante libro dello studioso di storia locale Mauro Scroccaro, con il suggestivo apporto fotografico di Giorgio Bombieri sono 6 fiumi per 70 mulini, come recita il titolo. Il focus dell’opera è sulla geografia attuale e passata dei corsi d’acqua di risorgiva, che affiorano appunto da sorgenti sotterranee, spinti in superficie dai terreni impermeabili della bassa pianura. Tra Padova, Treviso e Venezia coprono un rettangolo di circa 40 per 30 chilometri. In genere scorrono calmi, finendo direttamente, o come affluenti di altri fiumi, nella laguna di Venezia. Si tratta di Tergola, Muson vecchio, Marzenego, Dese, Zero e Sile, fiumi dal corso breve – tra i 35 e i 50 chilometri, appena 34 il Muson Vecchio, il Sile è il più lungo con i suoi 84 chilometri – dei quali, nel testo, viene descritta l’affascinante lunga storia di convivenza con l’uomo.
«Già nell’epoca romana – racconta il professore Mauro Scroccaro – questi sei corsi sono di riferimento per la centuriazione. Ma è nel Medioevo, con grande impulso dopo la rinascita del Mille, che sulle loro sponde si costruiscono preziosi mulini, che sfruttano l’energia dell’acqua per azionare macine e sgranare i cereali dei campi vicini, ricavandone farina. Essi hanno poi anche spiccata valenza sociale, come luoghi di ritrovo e crocevia strategici, perché spesso situati presso ponti e passaggi sull’altra riva».
Molto curioso nel testo è pure l’identikit del mugnaio tardo medievale, figura particolare che stipula contratti a termine per la gestione degli impianti idraulici, di proprietà di famiglie nobili o enti religiosi. «È dunque spesso – riprende Scroccaro – un forestiero, né contadino, né artigiano, ma intenditore di entrambi i settori. Lavora duramente, giorno e notte, in sintonia con il flusso d’acqua e in solitaria, con pochi collaboratori, mentre il rumore incessante del mulino gli provoca sordità. Anche se non sempre alfabetizzati, i mugnai sono abili e scaltri nei conti, tra pesi e valori attribuiti ai raccolti. Spesso sono considerati disonesti, come testimonia anche il pittore Giotto che a Padova, quindi proprio vicino ai fiumi di risorgiva, nel Giudizio universale della cappella degli Scrovegni affresca giusto un mugnaio, con un sacco di farina in spalla, tra i potenti della terra, sovrani, vescovi, signori, giudici, avviati verso l’inferno».
Altri antagonisti delle macine idrauliche sono poi i magistrati delle acque di Venezia, i “X Savi esecutori alle acque”, incaricati dalla Repubblica di vigilare sui fiumi che finiscono in laguna con i loro detriti, con il rischio di interrarla. «I numerosi mulini creano imbuti che rallentano i decorsi, pur tranquilli, dei fiumi di risorgiva, con il pericolo di straripamenti nei periodi di piena e di ingorghi e ristagni di materiale fangoso che poi scende alla foce. A testimoniare i tentativi veneziani di conciliare l’uso dei mulini con la sicurezza idraulica della zona sono le “pietre di San Marco”, alcune tuttora visibili, con indicazioni e segni di livello per le acque. Intanto le pale continuano a girare, tra normative e controlli, fino a raggiungere la massima diffusione. Sono almeno un centinaio, tra Cinque e Seicento, i mulini presenti, che resistono poi ben oltre la caduta di Venezia. Sarà la scoperta dell’energia elettrica a farne iniziare il declino nel corso del Novecento».
E oggi? Restano settantadue mulini nella zona. L’ultimo capitolo del libro li cataloga con una breve descrizione, suddivisi per corso d’acqua. Di ciascuno viene indicata la condizione attuale di accessibilità. Una ventina di essi versa purtroppo in stato di rudere, mentre solo quattro sono aperti alle visite. Altri sono abitazioni private, un paio ospitano ristoranti o rientrano in varie attività produttive.
«Tutti sono la testimonianza di un tassello importante della storia veneta e possono al contempo fornire suggerimenti attuali di sostenibilità ambientale. Alcuni vengono tuttora impiegati per produrre energia idroelettrica. Ogni impianto aveva inoltre dei canali scolmatori, per la raccolta di eventuali accumuli d’acqua e la loro riattivazione risponderebbe alla necessità odierna di vasche di laminazione, per le acque in eccesso o cadute troppo in fretta. La loro gestione passata ci insegna che ai fiumi bisogna lasciare spazio».
Il libro 6 fiumi per 70 mulini. Usi e gestione dei fiumi di risorgiva nella storia delle province di Padova, Treviso e Venezia è frutto di un’appassionata ricerca condotta dallo storico locale Mauro Scroccaro tra gli archivi di “Acque e forti. Venezia ricerche”, patrimonio della cooperativa sociale Città del sole di Mestre che ha promosso la pubblicazione del libro, con il contributo del Consorzio di Bonifica Acque risorgive. Gli spunti per la stesura delle pagine sono stati raccolti anche dal vivo, all’aperto, tra lunghi itinerari in bicicletta, così come gli scatti fotografici. Molti mulini sono stati infatti raggiunti dagli autori pedalando: «Ci siamo fatti strada tra argini sterrati e trosi di campagna, che ancora sfuggono a Google maps. Luci, colori, odori, rumori sono stati stimolatori fondamentali e perciò supporti comunicativi unici e irrinunciabili».
In un libro di questo genere – rivendicano gli autori – non è stata interpellata l’intelligenza artificiale. Mauro Scroccaro ha raccolto, collegato e sintetizzato fonti storiche cartacee di precedenti lavori sui singoli fiumi e i mulini. Le fotografie di Giorgio Bombieri poi immortalano e interpretano paesaggi “veri”, bucolici ma anche in decadenza.