MosaicoIl medico ungherese di Beatrice Andreose è la storia, appena pubblicata, di due fratellini ebrei salvati, insieme ai genitori, da donne intrepide di Este. Un racconto di solidarietà, umanità e di gente comune
È una storia tutta padovana, o meglio, atestina, quella che Beatrice Andreose, giornalista, già docente di diritto ed economia politica, racconta nel suo ultimo libro, Il medico ungherese, (edizione Cleup) che viene presentato sabato 25 alle 18, in occasione della Giorno della memoria, in sala Beatrice del Chiostro di Santa Maria delle consolazioni ad Este. Dedicato ai bambini ebrei salvati e alle donne coraggiose di Este che hanno salvato queste vite, il libro racconta le vicende di Marcello Bergo, dentista padovano, che all’anagrafe è registrato come Abrahamsohn, ma a causa delle persecuzioni razziali ha dovuto adottare il cognome della moglie. Bergo è un ebreo ungherese che ha studiato a Padova medicina, figlio di Arminio, uno dei rabbini più importanti d’Ungheria. «La storia nasce da una ricerca casuale – racconta la scrittrice – Una decina di anni fa mi era stato dato un foglietto non firmato in cui si ringraziavano le sorelle Gajo di Este per aver accolto l’autore del biglietto fra il 1943 e il 1945. Tre anni fa riprendo in mano questo foglio e penso a chi potrebbe essere l’autore. Inizia così che mi ha portato a scoprire il nome dell’autore, tale Roberto Abrahamsohn che a dieci anni era stato nascosto dalle sorelle Gajo». Ad Este era già nota la vicenda di Bianca Gajo che insieme alla mamma Maria Turetta, rimasta vedova, e alle sorelle Sandra e Gina accolsero per due anni in via Monache, un ebreo. È qui che per alcuni mesi vive il piccolo Roberto, separato dai genitori e dal fratellino Claudio di 5 anni nascosto a Venezia. Dopo qualche mese di lontananza la famiglia Abrahamsohn si riunisce a casa di Elvira Carbonin, maestra e prozia della moglie, Giovanna Bergo, del medico ungherese. Il piccolo Roberto verrà poi ospitato a casa della famiglia Gajo in via Monache. Il piccolo si mimetizza facilmente perché Gina Gajo, una delle tre sorelle, dà ripetizione di matematica a molti ragazzi atestini. Vivono in pieno centro a Este, sotto gli occhi della Wehrmacht arrivata in città nel settembre del 1943 e insediata nel collegio Vescovile. Giorgio Romanin Jacur, vicepresidente del Museo della Padova Ebraica nella prefazione al libro sottolinea che «ogni famiglia, ogni individuo conservava il ricordo della fuga, del nascondiglio, delle carte false, e ricordava chi aveva offerto un aiuto che per i “salvati” era stato vitale. Sia pure silenziosamente, i contatti fra salvatori e salvati continuavano, la riconoscenza si manifestava in mille modi diversi». Una caratteristica che accomuna queste storie di grande solidarietà è «l’assenza dell’atto eroico, manifesto e roboante; era in evidenza il semplice intervento, spesso ripetuto, di persone, non necessariamente importanti nella vita civile e sociale, che a rischio della vita o della libertà fisica, aiutavano, nascondevano, trasportavano, adattando abilmente le proprie abitudini per non essere scoperte. E tutte queste persone ritenevano soltanto di aver operato secondo la propria coscienza, e non chiedevano ricompense o riconoscimenti». Ed è così anche per il medico ungherese e la sua famiglia: nella casa della maestra Elvira la vita non ha subito cambiamenti. I bambini venivano per fino portati in piazza, nelle botteghe, per destare meno sospetti. «Questa è una storia di donne, solidarietà e coraggio – conclude Andreose – Una storia avvincente, di sofferenza e dolore che parla di salvati, ma anche di chi ha salvato. La storia è fatta di gente comune che è disposta a mettere in discussione la propria vita per salvare quella degli altri».
Beatrice Andreose , nata a Este dove vive e lavora, è giornalista, è stata docente di diritto ed economia politica ed è studiosa di storia locale. Ha pubblicato i volumi Premio dei Colli. Este 1960-1971. Il Festival senza divi (2007); Antonio Zanchi, “pittor celeberrimo” (con Felice Gambarin, 2009); Radici connettive. Il ‘68 ad Este e nella Bassa padovana (a cura di, 2021).
Il libro, corredato anche da un’ampia raccolta di foto inedite, è suddiviso in due parti: la prima racconta la vita del medico, gli studi universitari, la famiglia, il razzismo antisemita. C’è anche un capitolo dedicato al campo di concentramento di Vo’ Vecchio. Nella seconda parte invece la fuga e il nascondiglio a Este; la famiglia Gajo e a concludere la testimonianza di Claudio Abrahamsohn, che oggi ha 86 anni.
