IdeeSergio Rizzo. Dopo la politica, il giornalista romano nel suo ultimo saggio mette sotto la lente il potere dei cento magistrati che comandano in Italia
Consiglieri di Stato: magistrati che “pesano” più dei politici e nei palazzi contano, se non decidono, più dei ministri. Sergio Rizzo (65 anni, a lungo firma del Corriere della Sera, poi vice direttore di Repubblica ma costretto alla pensione nel novembre scorso) ha fatto tappa a Padova con l’ultimo saggio-inchiesta Potere assoluto – I cento magistrati che comandano in Italia (Solferino Editore, pagine 256, euro 17).
Mandarini e boiardi di Stato: è l’eterno ritorno dei “poteri inossidabili”?
«Più che un ritorno… non sono mai andati via. È una storia cominciata da quando c’è lo Stato unitario, forse addirittura prima. Un mondo veramente antico: due secoli. Nato quando non c’era la democrazia come la intendiamo adesso: all’epoca del Regno d’Italia era comprensibile una magistratura legata al potere politico. Con il fascismo c’è stata la massima espressione del connubio. Ma non ti aspetti che succeda ancora oggi. È davvero singolare che accada senza che nessuno fiati. La vicenda del Chievo Calcio pubblicata in questi giorni è del tutto eclatante. Chi ha già condannato è chiamato a una nuova sentenza: un caso di cui il nostro sistema democratico dovrebbe preoccuparsi seriamente. Certo, il nostro Paese non ha mai brillato sul fronte dei conflitti d’interesse. Ma se arrivano fino alla giustizia, diventa un problema molto serio. Di chi ti puoi fidare?»
Esperti per il Covid, civil servant a palazzo Chigi, super-manager per la crisi energetica: la politica non conta più nulla?
«È molto debole, più debole che altrove. In trent’anni abbiamo avuto quattro governi tecnici (Ciampi, Dini, Monti e ora Draghi): dimostra che c’è un nodo mai risolto nella cosiddetta Seconda Repubblica. Non che prima del 1992 la politica fosse più forte. Ho calcolato che dal 1861 al 1946 abbiamo avuto 65 governi e, se non ho sbagliato i conti, questo è il 66° governo della Repubblica. Nel Regno la durata media era 420 giorni, nel dopoguerra è 460. Dunque, abbiamo un problema dannatamente strutturale. Al di là della situazione particolare del Belgio, non accade per i governi in Germania e nemmeno in Francia. Ma così in Italia si lascia spazio ad altri poteri: i burocrati se lo tengono, anche se sulla carta non ce l’hanno. Ed esercitano un’influenza nelle decisioni direttamente proporzionale al loro radicamento all’interno dei ministeri, dove i politici passano…».
Informazione o propaganda: il “caso Ucraina” ha scatenato dubbi, critiche e polemiche…
«Dal mio punto di vista, è perfino banale dire che si sa veramente chi ha torto e chi ha ragione. Putin ha invaso l’Ucraina, che resiste. Ma pur non essendo d’accordo con Santoro, capisco che ci pone una questione: il giornalismo dovrebbe spiegare un po’ meglio il contesto dei fatti. Siamo davvero sicuri di farlo, fino in fondo? In televisione mi hanno interpellato in un paio di occasioni. Ho provato almeno a dire che va bene tutto, ma con la guerra fanno affari d’oro le imprese belliche e si svuotano vecchi arsenali per far posto ad armi più sofisticate».
Cane da guardia, quinto potere, libertà dal potere: c’era una volta il giornalismo. È destinato a tramontare?
«Il giornalismo del secolo breve è già tramontato. Una decina di anni fa, in Italia si vendevano sette milioni di copie di giornali. Oggi, se va bene, un milione. In Germania la Bild da sola ne vende di più. Del resto, da noi ci sono città dove le edicole sono scomparse. Credo che il giornalismo non sia morto, ma sta morendo la più importante piattaforma. E intanto l’informazione gratuita che dilaga in internet sta uccidendo quella vera. Finché i giornali erano in salute e con conti accettabili, potevano resistere e scrivere. Adesso la pubblicità è fondamentale nei bilanci, con condizionamenti pesantissimi. I poteri hanno sempre cercato di creare problemi all’informazione. Si lavano la bocca con la libertà di stampa, ma non hanno mai accennato a intervenire sulle cause civili ai giornalisti».
La Casta dei politici, dei magistrati… e dei giornalisti. Siamo davvero come l’India?
«Quando hai un Paese con una trentina di ordini professionali, ogni pezzo di società ha il suo orticello con piccoli o grandi privilegi. Siamo in questa realtà da un bel pezzo. Il paradosso è che non ce ne siamo mai resi conto: la società italiana è modellata dal corporativismo. Dal 1939 al 1943 la Camera dei deputati fu soppiantata dalla Camera dei fasci e delle corporazioni (presieduta da Dino Grandi). Era l’ammissione candida del regime totalitario: interlocutore delle caste, non dei cittadini. Fatte le debite proporzioni, è ancora un po’ così: ci sono blocchi di potere immarcescibili. Il nostro Parlamento è pieno di rappresentanti degli ordini professionali. Deputati e senatori che poi si lamentano per primi…».
«Accolgo questa nomina come un’ulteriore chiamata a servire le Chiese che sono in Italia, delle quali la Cei è figura concreta di unità». Così mons. Giuseppe Baturi, vescovo di Cagliari e da martedì scorso anche segretario della Cei.
