Più nonni che nipoti. Sembra un’affermazione contro natura e invece è un dato di fatto. Al 1° gennaio di quest’anno le statistiche dicono che in Italia ci sono oltre 14,5 milioni di persone over-65, che costituiscono il 24,7 per cento della popolazione e per la prima volta, si registrano quasi 200 anziani ogni 100 under-14.
Nel Veneto gli anziani sono 1,2 milioni, ovvero il 24 per cento della popolazione, e le proiezioni indicano un forte aumento nei prossimi anni, con un superamento del 29 per cento nel 2033. L’indice di vecchiaia in Veneto è un po’ più contenuto di quello nazionale con 159 adulti con 65 o più anni ogni cento giovani e per questo, forse, dobbiamo dire grazie alle persone immigrate.
Tanti anziani e pochi giovani significa un modello sociale da rivedere, un patto intergenerazionale da sottoscrivere e di questo hanno discusso i ricercatori del gruppo di lavoro Eaps in un convegno internazionale sull’invecchiamento sostenibile tenuto a Padova l’11 e il 12 settembre. «L’invecchiamento della popolazione è una delle trasformazioni più profonde del nostro tempo. Parlare di invecchiamento sostenibile significa non limitarsi a fotografare una società con sempre più anziani e meno giovani, ma pensare a come garantire qualità della vita, inclusione sociale ed equità tra generazioni in società che devono rimanere anche economicamente ed ecologicamente sostenibili – spiega Bruno Arpino, docente al Dipartimento di scienze statistiche dell’Università di Padova e coordinatore del convegno – Questi fenomeni sono complessi perché si intrecciano tra di loro e quindi anche gli interventi della politica non possono essere frammentari, ma devono tener conto della complessità: un intervento sulle pensioni può avere un effetto sugli anziani di oggi, sugli anziani del futuro, ma anche sulle altre generazioni perché un sistema pensionistico più generoso dà la possibilità agli anziani più generosi di trasferire parte delle risorse a figli e nipoti. Aumentare l’età pensionabile riduce, invece, la possibilità ai nonni di curare i nipoti. Ci sono legami tra le generazioni di cui bisogna tener contro anche nel disegno delle politiche».
Ma non sono solo le conseguenze economiche che vanno considerate: bisogna tener conto se una società invecchia in modo sostenibile, se dispone di sistemi pensionistici che tengono conto dell’invecchiamento e anche dei processi occupazionali. Essenziale in questo ragionamento è capire quale sistema sanitario e assistenziale attuare: «La sostenibilità comporta il garantire l’accesso a servizi di qualità, riconoscendo la crescente domanda di assistenza a lungo termine e il ruolo fondamentale delle reti di supporto informale e intergenerazionale – sottolinea Arpino – Tuttavia, lo stato sociale dev’essere progettato in modo da evitare di gravare sui familiari con richieste di cura eccessive, che possono avere conseguenze negative sulla partecipazione al mercato del lavoro, con pensionamenti anticipati o riduzioni del numero di ore lavorate dovute a responsabilità familiari, soprattutto per le donne. Ciò evidenzia le interconnessioni tra le sfere sociale ed economica».
In questo contesto occorre considerare il cambiamento tecnologico – dalla digitalizzazione, all’intelligenza artificiale, alla robotizzazione – perché le nuove tecnologie «possono consentire di invecchiare a domicilio per periodi più lunghi, abilitare l’assistenza formale e informale e persino i servizi sanitari a distanza, e facilitare l’accesso ai servizi pubblici e privati. Tuttavia, le innovazioni tecnologiche devono essere accessibili a persone di tutte le età e di tutti i gruppi socio-economici. Inoltre, non va trascurato che il cambiamento tecnologico può avere conseguenze per l’ambiente, sia positive sia negative. Le tecnologie richiedono risorse, come energia e acqua, ma possono anche consentire usi più efficienti delle risorse stesse».
L’invecchiamento della popolazione incide, infatti, sui consumi, sul mercato immobiliare e sull’organizzazione delle città e questo significa che la dimensione ambientale, che può incidere in maniera importante sulla salute degli anziani, «va ben oltre quella climatica per abbracciare tutti gli aspetti dell’ambiente in cui vivono le generazioni attuali e vivranno quelle future».
Che fare quindi di fronte a un Paese e a un mondo che invecchiano? «È complicato da affrontare e ciascuno deve fare la sua parte nel ruolo che ha – puntualizza il docente – Occorre far emergere i legami intergenerazionali e capire come sia possibile garantire la solidarietà intergenerazionale; quindi garantire il benessere di una generazione senza compromettere le altre o tenendo conto delle possibili implicazioni. La politica deve agire avendo chiaro questo concetto. Spesso si dice che il nostro sistema di welfare sia distorto in favore degli anziani perché spendiamo una parte consistente del budget pubblico sulle pensioni e dobbiamo tener conto di quali siano le implicazioni per i giovani, ma i dati che abbiamo non dimostrano uno scollamento tra le generazioni soprattutto se guardiamo all’interno della famiglia. Sembra emergere, tuttavia, a livello di società un aumento di scetticismo. Anche la società civile deve favorire la possibilità che le generazioni si parlino, si capiscano».
Maria Sironi, docente di scienze statistiche conclude: «In una società che invecchia, costruire ponti tra generazioni diventa essenziale per contrastare la frammentazione sociale e garantire benessere e coesione per tutti. Questa conferenza ha rappresentato un momento cruciale per sviluppare una comprensione condivisa e strategie innovative che tengano conto dell’interconnessione tra le esperienze di solitudine di giovani, adulti e anziani».
Negli ultimi vent’anni negativo è stato l’apporto in termini assoluti della Lombardia (meno 218 mila giovani), ma anche del Veneto, che, con una perdita di 133 mila giovani, ha contribuito per il 10 per cento al calo nazionale della classe di età 0-14 anni.