Idee«Gli imprenditori nascono per trovare soluzioni» sostiene Zaino, presidente dei grossisti alimentari Padova. E c’è chi da tempo produce già negli Usa
«D a una parte, non credo che ci sarà un contraccolpo così forte sul nostro export, perché esportiamo negli Stati Uniti prodotti d’alta o altissima gamma e chi comprava prima il Parmigiano Reggiano, il Prosecco o la Ferrari sarà disposto a pagare qualcosa in più per avere lo stesso bene. Dall’altra parte, temo invece per ciò che può accadere in Europa. Temo un aumento di import di prodotti cinesi e asiatici nei Paesi europei: non trovando sbocco negli Usa, l’Asia intensificherà le esportazioni in Europa». Commenta così l’introduzione dei dazi americani Massimo Pavin, presidente e amministratore delegato di Sirmax Group, un’azienda veneta d’eccellenza nel campo della lavorazione di componenti in materie plastiche. Attiva dagli anni Sessanta, ha 13 stabilimenti produttivi: sei in Italia, di cui due in provincia di Padova, due in Polonia, uno in Brasile, due in Usa, due in India. Sirmax ha conquistato importanti quote di mercato in Europa, Americhe e Asia, diventando così un riferimento per il mercato internazionale, arrivando a impiegare 850 dipendenti. I componenti che produce vengono adoperati nell’automotive, elettrodomestico, costruzioni, arredamento, agricoltura e packaging, un’azienda dunque di respiro internazionale che, in un certo senso, ha agito d’anticipo per fronteggiare i dazi e le difficoltà che possono derivare dal commercio estero. Da tempo, infatti, Sirmax ha intrapreso la strada dell’internazionalizzazione intesa come produzione localizzata per essere più vicino ai clienti. Dunque si produce in India per il mercato indiano, in Brasile per quello latino-americano e naturalmente negli Stati Uniti per il mercato del Nord-America. In questo momento storico, la produzione in loco permette di ovviare al problema dei dazi e rappresenta la soluzione migliore di fronte a ogni tipo di protezionismo del mercato. «Come difendersi? Introdurre a nostra volta dazi europei nei confronti delle merci extra-europee può essere una soluzione temporanea, ma nel medio periodo l’Europa deve imporre regole precise di fabbricazione e commercializzazione per i prodotti in ingresso, esattamente come le impone ai produttori del mercato interno, cioè a tutti noi. Se non avviene questo, la nostra manifattura sarà messa a rischio – commenta l’amministratore delegato – L’enorme bacino di circa 450 milioni di consumatori europei avrà a disposizione merci a basso costo e questo porterà ad un impoverimento economico e culturale. Spero, invece, che la politica protezionistica di Trump stimoli i nostri legislatori ad andare sempre più verso gli Stati Uniti d’Europa».
Tra i molti commenti allarmistici e negativi c’è anche chi guarda con cautela il nuovo scenario internazionale. Rocco Zaino è il presidente dei grossisti alimentari di Ascom Confcommercio Padova, oltre a essere titolare della Zaino Food Service srl di Montegrotto Terme, un’azienda che commercia beni alimentari freschi e surgelati, con due sedi estere in Thailandia e a Londra: «Io penso che i dazi introdotti dal presidente Trump influenzeranno il mercato, ma non più di tanto. Certo, sarebbe stato meglio se non ci fossero stati, ma guardiamo agli altri Paesi, ce ne sono di molto più alti: per esempio in Thailandia il vino è al 450 per cento e nessuno ne parla. Trump fa gli interessi degli Stati Uniti, non potevano continuare così, importavano dall’estero più di quello che producevano. Dall’altro lato noi abbiamo goduto di vantaggi di cui forse non ci rendevamo conto, basti pensare che l’Iva negli Usa è zero». Per Zaino inoltre i dazi sono solo una parte delle difficoltà nel commercio estero, e probabilmente non quella più significativa: «Ci sono stati momenti in cui i trasporti con le Americhe incidevano per più del 20 per cento, anche del 50 per cento, senza contare i problemi che abbiamo avuto con la Brexit. E vogliamo parlare dell’influenza aviaria? Ci sono Paesi che hanno bloccato i nostri prodotti avicoli o anche i salumi per timori legati alla sicurezza, ma nessuno ha detto niente. In Thailandia, per esempio, da due anni non importano più questo genere di beni». Per il presidente dei grossisti, insomma, l’allarmismo è ingiustificato: «Gli imprenditori nascono per trovare soluzioni, è questo che li caratterizza, altrimenti avrebbero fatto i dipendenti. Io non mi straccerei le vesti, lamentarsi non serve. Dobbiamo provare a vedere questa novità come un’opportunità e trovare strategie nel breve, medio e lungo periodo che possono essere anche diverse tra loro». Più in linea con le preoccupazioni lanciate dai media e da molti politici è Massimo Bressan, vicepresidente Coldiretti Padova e titolare di un’azienda agricola che produce ortaggi nella Bassa Padovana: «La nostra attività non esporta, vendiamo direttamente alle aziende, mentre il vino lo portiamo alle cantine, ma non per questo non siamo preoccupati perché il mercato è collegato. Proprio in merito alla produzione vinicola, nel 2024 c’è stato un export di 8 miliardi di euro a livello nazionale, più 17 per cento rispetto al 2023. Il vino del Veneto valeva 600 milioni sul mercato americano, quindi non siamo sereni: se i prezzi aumentano, l’acquisto di beni di lusso potrebbe non variare, mentre quello dei beni alimentari potrebbe subire una contrazione. A nostro avviso non dobbiamo farci pendere dal panico, bisogna ragionare in termini europei e mantenere un dialogo con gli Usa. Di certo è presto per parlare di contromisure e non penso che sia corretto adottare “ripicche”, non ci guadagnerebbe nessuno».
«Per noi, il mercato americano è la nostra terza destinazione dopo Germania e Francia – sostiene Paola Carron, presidente di Confindustria Veneto Est – Settori chiave come la meccanica, l’agroalimentare, l’occhialeria e il comparto orafo potrebbero subire un duro colpo. Il Prosecco negli Usa vale 700 milioni di euro all’anno, così come, a titolo esemplificativo, a essere penalizzati potrebbero essere settori quali il legno arredo, moda e calzatura. Le imprese già da tempo stanno diversificando i mercati, rafforzando la loro presenza in Medio Oriente, nei Paesi del Golfo, nel Sud-Est asiatico e in America Latina, oltre che in Europa, a partire dalla Spagna. Dobbiamo lavorare anche al nostro interno, eliminando ogni barriera impropria che frena il mercato per poter essere più competitivi. L’inefficienza è un ostacolo tanto quanto i dazi imposti dall’esterno».
Ivo Nardi, amministratore delegato dell’azienda vitivinicola Perlage di Soligo nonché vicepresidente del Consorzio di Tutela del Prosecco Docg: «C’è l’attesa dell’apertura di una trattativa con gli Stati Uniti, anche perché l’azzardo di Trump è stato forte e forse neppure la sua economia può reggere l’impennata dei dazi». Per il Prosecco delle tre denominazioni – Doc, Conegliano Valdobbiadene Docg e Asolo Docg – il mercato Usa corrisponde a oltre 150 milioni di bottiglie per un fatturato di oltre 700 milioni di euro. La Doc esporta circa 130 milioni di bottiglie ogni anno per un fatturato alla produzione di circa 500 milioni), Asolo Docg manda negli Usa il 75 per cento della propria produzione annua di 32 milioni di bottiglie (Federico Citron).
