Fatti
La crisi che le fiorerie stanno affrontando è più profonda di quanto può apparire. Sono lontani i tempi in cui, a Padova, tra morosi, ci si diceva con un pizzico di civetteria «un fiore me compra, e na paroea me copa». Invecchiano gli esercenti che spesso non hanno eredi e l’aumento dei costi fissi per l’acquisto dei fiori principalmente dall’estero erodono i già risicati margini. E non va meglio se si parla di allestimenti per eventi. «Per quanto riguarda i matrimoni, sopravviviamo – spiega Eleonora Dallan, presidente dei fioristi per Ascom Padova e titolare della Fioreria Ilva di Campo San Martino – Abbiamo una concorrenza sleale da parte di gestori delle ville e dei ristoranti che si improvvisano, oppure vendono quel prodotto come fosse fatto da un professionista e lo barattano anche a pochi soldi, svalutando il nostro lavoro».
Dallan ha partecipato, di recente, all’incontro al Ministero delle imprese in cui Federfiori ha chiesto al Governo aiuti concreti per il comparto, a cominciare da sgravi fiscali, incentivi alla formazione e alla promozione. Il mercato è cambiato radicalmente, soprattutto dopo il Covid, e i social hanno veicolato una narrazione che da un lato ha avvicinato i giovani ai fiori ma dall’altro non è riuscita a intercettare quelle fasce di consumatori alto-spendenti di cui un settore a corto di marginalità avrebbe bisogno. «I fiori costano, dovrebbero essere il regalo non una parte accessoria – chiosa Laura Biale che da tre anni gestisce la fioreria Botanical a Ponte di Brenta – Nel tempo sto creando il mio giro di clienti affezionati che capiscono il valore del prodotto e del mio lavoro ma per quanto riguarda gli eventi è difficile: per fare qualcosa di bello e fare felice il cliente, come piacerebbe a me, spesso non c’è il budget perché i fiori vengono contemplati dopo tutto il resto. Così, prima di accettare un lavoro, cerco di far capire al committente cosa si possa realizzare in base alle sue esigenze e all’effettivo budget a disposizione».
Lavorare con i prodotti freschi rappresenta poi una serie di costi accessori non indifferenti: il fiore, si sa, appassisce ma ciò che spesso il cliente ignora è che viene acquistato all’ingrosso dall’Olanda – ma anche da oltreoceano – in confezioni il cui numero eccede il fabbisogno per la singola realizzazione. Un costo che il professionista conta di recuperare in parte con le successive vendite ma che spesso finisce per rimanere a suo carico così come le spese di trasporto e allestimento, alleggerendo il già magro guadagno.
«Il nostro lavoro? Non è contemplato» riassume efficacemente Chiara Varchione, titolare di Clorì officine floreali a Este. E non si tratta solo di retribuire la manodopera ma anche di tutti quei materiali utili per confezionare il mazzo, carte e nastri, che il fioraio ha dovuto acquistare: «Per il cliente è una sorta di omaggio, eppure quando va ad acquistare qualcosa al supermercato paga anche il sacchetto. Per un matrimonio il preventivo l’ho fatto un anno prima e gli sposi volevano spendere 1.200 euro. Io ho speso esattamente 1.100 euro di fiori ma a loro non è che potevo chiedere di più».
Se gli eventi non tirano, le ricorrenze non vanno meglio. «Il funebre è completamente andato giù – continua Varchione – Per il funerale si cerca di fare il minimo possibile ma anche nei cimiteri non si lavora: una volta con il 2 novembre, ricorrenza dei defunti, si riusciva ad ammortizzare le spese di metà anno, ora non è più così». E con rammarico la presidente Dallan conclude: «Si sta perdendo soprattutto la tradizione della bellezza di regalare un fiore, che dà emozione».