Il saluto al vescovo Antonio. Diritto al cuore della sua gente

Dietro la “scorza dura” e il carattere forte, ha sempre manifestato un amore profondo per la sua chiesa e la capacità innata di stabilire relazioni intense con le persone: nelle visite pastorali, incontrando i lavoratori, dialogando nella loro lingua d’origine con i fratelli immigrati. Anche per questo non lo dimenticheremo, così come lui porterà sempre la nostra chiesa nel cuore.Per leggere l'articolo iscriviti gratuitamente al sito.

Redazione

Cambiare. È un verbo difficile, un’azione complessa. Indica l’affacciarsi all’orizzonte di qualcosa di nuovo. Ma ricorda anche un passato che diventa radice e fondamento (l’esperienza) e segna un presente di “passaggio”, di “guado”. In questo “verbo” si ritrovano insieme oggi la chiesa di Padova – laici, presbiteri e consacrati – e il vescovo Antonio che si appresta a “cambiare” compito e ruolo nel suo essere al servizio della chiesa universale.

Una volta nominato il successore ritornerà alla sua amata Africa, anzi in una zona di primissima evangelizzazione, drammaticamente povera, geograficamente lontana, perché lì la sua missione lo chiama; perché lì – in Etiopia – sente che Gesù ancora una volta lo attende e gli chiede impegno e dedizione. Fa riflettere, interroga e sprona un vescovo che a 75 anni – grato a Dio per la robusta salute e costituzione che gli ha donato – si rimette in moto, in un altro mondo, in un altro contesto, in una situazione povera, essenziale e riesce a lasciare un mondo di relazioni e di sicurezze, con il sorriso e una commozione composta.

La chiesa povera è anche in questo gesto di Antonio Mattiazzo, un vescovo che torna “semplice missionario”. In questa scelta, “ultima” a Padova ma “prima” per il suo nuovo tratto di strada, ritrovo il vescovo che in questi anni ho imparato a conoscere e stimare. Un uomo solido nella fede, scevro da dinamiche di apparato, semplice e schietto nelle relazioni seppure di fine ironia, un’ironia sapiente, centellinata nelle situazioni più impensabili, sempre accompagnata da quel sorriso buono e dall’occhio limpido.

Se c’è un aggettivo con cui credo si possa contraddistinguere l’uomo e il prete Mattiazzo, è proprio “saldo”, perché certo della presenza costante della Provvidenza. Sono questi i tratti “umani” di un vescovo che – “parole sue” – «al di là della scorza dura» ha sempre amato la sua chiesa, i suoi preti, i suoi collaboratori, a cui ha detto «siete e sarete sempre la mia famiglia», assicurando preghiera e ricordo indelebile. Un affetto, pubblicamente calibrato, che nelle conversazioni fuori dai riflettori si arricchiva però dei tratti di quella “paternità” di cui ha desiderato investire il suo ruolo di pastore. E ricordo che, quando lo interpellavo “eccellenza”, sorridendo mi faceva capire che i titoli servono a poco: è la verità delle relazioni che conta!

Un tratto che ho visto emergere con evidenza in molte situazioni, ma in particolare nelle visite annuali alle aziende della zona industriale di Padova: quante volte si è intrattenuto con i lavoratori e quante lacrime di commozione ho visto affacciarsi sui volti di uomini e donne di altre nazionalità che sentivano il “vescovo” rivolgersi loro nella lingua d’origine, facendoli sentire a casa, andando dritto al loro cuore. Sì perché Mattiazzo, forte dell’esperienza missionaria, ha sempre ricordato che imparare la lingua del paese dove vai è segno di attenzione per la gente che incontri. È il primo compito di un missionario: creare ponti di comunicazione, di incontro, trovare linguaggi comuni.

Quel tratto di “padre” con cui si è accostato alle comunità, ai suoi preti, ai bambini è anche una necessità di sentirsi “figlio” e “fratello” e di poter condividere gioie e sofferenze. Perché di sofferenze il nostro vescovo Antonio ne ha vissute numerose, e da esse si è fatto lavorare nell’intimo e cambiare. Però ha saputo distinguere e comporre il dolore vero che segna l’animo (penso alla morte drammatica di alcuni preti diocesani o all’impossibilità di trovare soluzioni percorribili in situazioni difficili), da altre delusioni, guardate con l’occhio distaccato di chi coglie l’essenza del problema e l’impossibilità di soluzioni immediate là dove la complessità è “globalizzata” e necessita di conversioni profonde che maturano solo nei tempi lunghi.

Senza cedere al pessimismo che paralizza e rende inoperosi, il vescovo Antonio si è fatto forza delle certezze che un cristiano dovrebbe sempre portare con sé, ha proseguito ammonendo e indicando la strada, sapendo che quel che si fa è una goccia nell’oceano, ma sempre indispensabile nel progetto di Dio. Il mondo contemporaneo, la società globalizzata, il dio denaro, il consumismo, le tante droghe e assuefazioni dell’oggi… Antonio Mattiazzo vede, sottolinea, individua le dinamiche, suggerisce vie di interventi e stili nuovi e infine “ricapitola tutto in Cristo”.

Agli attacchi personali, che negli anni non sono mancati, non ha risposto e non li ha mai fatti divenire prioritari nel suo operare. Ma se a essere toccata o denigrata è stata la missione della chiesa, la sua scelta è stata di piccoli e simbolici gesti: quelli di salire sui palchi dei più poveri, con il sorriso e la semplicità di chi non teme perché è saldo nella fede.

Uomo dal carattere forte in un animo buono, pastore dalla fede solida ma capace di stupore di fronte alle meraviglie dell’ingegno umano, porterà – ha ricordato – la chiesa di Padova nel suo cuore, nei suoi nuovi confini del mondo: «Certamente non potrò dimenticarvi». Neanche noi ti dimenticheremo, padre vescovo Antonio.

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