Fatti
È stato approvato a fine luglio dalla Giunta regionale del Veneto un provvedimento che autorizza, in via sperimentale e temporanea, l’assunzione di medici specialisti con titolo conseguito all’estero non ancora riconosciuto in Italia. Il motivo che ha portato all’assunzione della delibera è l’annoso problema della carenza di medici, in particolare dei prontosoccorsisti.
L’impiego di medici laureati all’estero, ma privi di riconoscimento in Italia, non è tuttavia una misura d’emergenza nuova visto che non solo è stata sperimentata durante la pandemia, ma la legge italiana ha consentito alle Regioni di fare ricorso a questa categoria di specialisti fino al 2027. Il Veneto ha scelto di proseguire su questa strada, rivolgendosi a professionisti già presenti sul territorio nazionale, in possesso di permesso di soggiorno per motivi lavorativi o di cittadinanza italiana. La soluzione, tuttavia, ha lasciato dietro di sé uno strascico di polemiche, come l’attacco di Spi Cgil Veneto: «Ci pare solo l’ennesimo tentativo per coprire gli errori del passato», tuona Ugo Agiollo della segreteria del sindacato. Sul problema della mancanza cronica di medici di medicina generale, medici di continuità assistenziale, prontosoccorsisti, Agiollo sottolinea che «la situazione è frutto di pensionamenti che non sono stati bilanciati da una programmazione adeguata da parte di Palazzo Balbi, ma anche di una fuga sempre più rapida dal Ssn verso le strutture private».
In effetti, secondo il recente rapporto di Ires Veneto, dal 2020 al 2024 i medici di medicina generale sono calati di 349 unità, i pediatri di libera scelta di 46. A fine 2024 le zone carenti di medici di famiglia erano 728 (più 385 dal 2019), gli incarichi vacanti dei medici di continuità 669 (più 254 dal 2019). Il numero medio di assistiti per medico è 1.524 con punte che arrivano a 1.600-1.700.
Dati che fanno capire perché la Regione ha deciso di intervenire con questo provvedimento. Ma allo stesso tempo sollevano interrogativi sul lungo periodo e sulle soluzioni da attuare: «Come Ordine dei medici siamo perplessi su questa delibera. È vero che ne abbiamo già fatto ricorso durante la pandemia e che c’è una legge nazionale, però non riteniamo giusto che i medici che si formano in Italia debbano seguire un iter lungo e complesso per esercitare, mentre in parallelo ci siano questi percorsi rapidi». È di questo avviso Filippo Crimì, presidente dell’Ordine dei medici e odontoiatri di Padova che continua: «Ci può essere una situazione d’emergenza ma sarebbe meglio trovare un altro modo per riconoscere i titoli esteri all’interno degli ordini, così da garantire la vigilanza deontologica e professionale, un minimo di crediti formativi, la frequenza di corsi di aggiornamento. Un medico che, per esempio, viene dall’Argentina, deve presentare le carte al Ministero, attende due o tre mesi, deve dare magari altri esami di integrazione, l’esame di lingua, poi si deve iscrivere all’ordine, passa del tempo e questa persona aspetta. Altri che, invece, rientrano nel percorso “d’urgenza”, a parità di titoli possono esercitare molto prima».
Il tema vero resta sempre, a monte, la carenza di alcune categorie di medici. Secondo Crimì «non è che formiamo pochi medici, ce ne sarebbero a sufficienza. Ma alcune specializzazioni sono poco attrattive per cui molti preferiscono andare all’estero. Per queste categorie servono una revisione delle forme contrattuali e l’attuazione di incentivi. Per esempio, chi lavora nel pronto soccorso è sempre in prima linea e rischia contenziosi, sinistri, denunce. Questo rende difficile e poco attrattivo il lavoro e il solo aumento di stipendio non è sufficiente. I pensionamenti, poi, andavano di pari passo con i nuovi inserimenti ma attualmente siamo nella fase di picco di uscite dei baby boomers. Solo di recente le borse sono state incrementate, arriveremo a circa 16 mila comprese quelle di medicina generale; ma per formare un medico specialista servono 4-5 anni mentre i pensionati se ne stanno già andando, quindi c’è un gap. E poi, dobbiamo pensare a come trattenere i giovani appena formati, evitando di farli andare all’estero e “regalando” ad altri Paesi i 150 mila euro che lo Stato spende per ciascuno di loro».
Nella nota di Palazzo Balbi si apprende che la selezione dei medici con titolo conseguito all’estero avviene per titoli stessi e colloquio da parte di una commissione di esperti per valutare le competenze e la conoscenza della lingua italiana. L’assunzione potrà avvenire solo nel caso in cui risultino esaurite le graduatorie ordinarie per inserimenti a tempo indeterminato e le graduatorie riservate ai medici in formazione specialistica.