Anche in un recondito villaggio africano o del sud-est asiatico, donne e uomini migliorano la loro qualità di vita grazie a un uso saggio e giusto delle più adeguate tecnologie a disposizione.
Talvolta basta davvero poco per migliorare sensibilmente la condizione di una realtà locale. Oggi, soprattutto in molti villaggi in Asia e Africa dove la sussistenza di tutta la comunità è fondata sulla produzione agricola realizzata dalle donne, può bastare anche solo un banale cellulare e una piccola applicazione sostenuta da un sistema di intelligenza artificiale.
Perché se a queste donne metti in mano uno strumento che incrocia pochi dati essenziali quali previsioni del tempo, condizioni della mobilità, variazione dei prezzi nei mercati locali e poco altro, eccome se cambia la vita di tutto il villaggio. Di colpo la produzione agricola viene ottimizzata senza essere stravolta, riducendo sprechi e rischi.
Prediligo questo tipo di esempio, piuttosto che altri molto più tecnologici e complessi, per parlare dell’enorme impatto che i sistemi di intelligenza artificiale hanno sul settore agroalimentare (probabilmente a oggi uno dei campi più impattati in assoluto da questa trasformazione digitale), perché dimostra come un sano sviluppo tecnologico è davvero foriero di buone notizie. Ad alcune condizioni.
Anzitutto deve essere capace di abitare situazioni molto diverse tra loro. Certo le donne di un villaggio del corno d’Africa non possono permettersi uno smartphone come i nostri, neanche quelli di fascia economica. In realtà i progetti di questo tipo in atto (e qui si coglie la meraviglia dell’ingegno umano) utilizzano apparecchi molto semplici, dai ridotti consumi elettrici e magari ricaricabili ad energia solare. Anche le applicazioni sono minimali ed estremamente intuitive, facili da tradurre nei molti idiomi locali in cui sono attivate.
Più complesse e meno scontate sono invece altre due condizioni che paiono rilevanti. La prima è il rispetto delle culture locali in cui si introducono questi sistemi. Certamente il miglioramento della produzione e della commercializzazione dei prodotti agricoli locali chiede cambiamenti nella filiera produttiva; non necessariamente però essa deve essere stravolta con indicazioni e pratiche che sono estremamente lontane dai vissuti locali. Per realizzare un’applicazione agricola per l’Africa, accanto a agronomi, economisti e informatici, sono assolutamente necessari gli antropologi culturali. Altrimenti il rischio serio di una nuova colonizzazione, questa volta tutta tecnologica, è dietro l’angolo.
Conseguente a questa riflessione è la seconda condizione necessaria: il coinvolgimento delle realtà locali non solo nella progettazione ma anche nella realizzazione e nella proprietà di tali tecnologie. Grandi realtà economiche occidentali che investono in questo settore, magari inizialmente anche nella forma buona del finanziamento gratuito, saltando completamente le realtà locali ridotte a semplici utilizzatori delle tecnologie potrebbero non attivare percorsi di affrancamento e protagonismo economico delle imprenditrici coinvolte. Perché o ci si guadagna tutti, o il fallimento è dietro l’angolo.
Tutti infatuati del cibo naturale che in realtà non esiste (da quando coltiviamo e cuociamo gli alimenti abbiamo introdotto una mediazione tecnologica nel nostro modo umano di nutrirci), scopriamo che anche in un recondito villaggio africano o del sud-est asiatico, donne e uomini migliorano la loro qualità di vita grazie a un uso saggio e giusto delle più adeguate tecnologie a disposizione. Mangiano e fanno mangiare anche grazie all’intelligenza artificiale, cioè in modo squisitamente umano.