Idee
Intelligenza artificiale. L’autocoscienza dei computer non esiste
Se prima l’intelligenza artificiale appassionava soprattutto informatici e patiti di fantascienza, oggi con ChatGpt se ne parla anche nei bar.
IdeeSe prima l’intelligenza artificiale appassionava soprattutto informatici e patiti di fantascienza, oggi con ChatGpt se ne parla anche nei bar.
Come essere ad esempio sicuri che il testo che state leggendo non sia stato generato automaticamente da un algoritmo? Anche di questo si è parlato a Cannes, in Francia, dove per tre giorni dal 9 all’11 febbraio scienziati, aziende e istituzioni da tutto il mondo si sono dati appuntamento per la seconda edizione del World Artificial Intelligence Cannes Festival. Ospite d’onore l’Università di Padova accompagnata da otto spin-off, aziende che operano nel campo delle alte tecnologie fondate da docenti e ricercatori dell’ateneo. Quella sull’intelligenza artificiale è anche e soprattutto una riflessione su di noi: in particolare oggi, che per la prima volta i computer sembrano insidiare facoltà considerate strettamente umane, come il linguaggio e la creatività. «Oggi l’intelligenza artificiale genera, ma solo quello che le dici di generare. È dunque generativa, ma non creativa: la creatività è ancora nelle nostre mani, esattamente come la responsabilità»: così Luc Julia, uno dei padri di Siri, l’assistente vocale di iPhone e iPad. Nel 2019 ha pubblicato il libro dal titolo eloquente L’intelligenza artificiale non esiste, criticando gli allarmismi e dichiarando di preferire l’espressione “intelligenza aumentata”. Non tutti ovviamente sono d’accordo: «Per me anche nell’intelligenza artificiale c’è una certa dose di creatività. Che non deriva esclusivamente dal programmatore: prende ispirazione dall’ambiente un po’ come gli artisti, come Beethoven che sente il canto degli uccelli nel bosco e poi va a scrivere la sua sinfonia». Parole importanti, soprattutto se consideriamo da dove arrivano. Yann LeCun è vicepresidente e chief AI scientist di Meta, la multinazionale che controlla Facebook, Instagram e Whatsapp, e nel 2019 ha ricevuto il premio Turing, l’equivalente del Nobel per l’informatica. Per lui i computer hanno già un certo livello di autonomia rispetto agli umani, che in futuro potrà solo aumentare… e chissà, forse un giorno potranno provare addirittura emozioni. «Se vediamo un bambino sporgersi da un terrazzo corriamo ad afferrarlo perché non cada – esemplifica LeCun – Se un sistema, che io chiamo di “intelligenza artificiale autonoma” impara ad anticipare ciò che sta per accadere e a prefigurare che una situazione è pericolosa, significa che avrà anche delle emozioni. Perché questo sono le emozioni: anticipazioni». Il ragionamento è respinto in toto da Federico Faggin, uno dei creatori dei moderni personal computer. Vicentino classe 1941, laureato a Padova ma residente da anni in California, a lui si devono il primo microprocessore entrato in commercio nel lontano 1971 (l’Intel 4004), nonché l’introduzione di touchpad e touchscreen. «La mia carriera mi ha portato ad avere un rapporto molto speciale con l’Ai, ma il vero problema oggi è la coscienza. I computer non possono avere sensazioni ed emozioni, quindi non potranno mai essere autocoscienti», ha detto il fisico e inventore durante l’evento organizzato a Cannes dall’associazione Alumni dell’Università di Padova, al quale è intervenuto in collegamento dagli Stati Uniti. Secondo Faggin «se dimentichiamo l’umanità facciamo un terribile errore; per questo dobbiamo stare attenti: l’Ai è una tecnologia potentissima, che può essere usata sia per il bene sia per il male. Se la usiamo solo per monetizzare costruiamo un futuro orribile». Un’affermazione dalla quale è difficile dissentire. E ora, lettore, dimmi: secondo te questo articolo avrebbe potuto essere scritto con ChatGpt?
Il mondo del lavoro italiano è sempre più multietnico. Il rapporto Istat “Stranieri e naturalizzati nel mercato del lavoro italiano” afferma che l’11,2 per cento della popolazione over 15 anni in Italia non ha ricevuto la cittadinanza del Paese per nascita. La maggioranza di loro (l’8,9 per cento) è in possesso di un’altra cittadinanza, mentre il rimanente (2,3 per cento) ha acquisito quella italiana. I primi in totale sono circa 4 milioni di persone tra i quali quasi il 25 percento rumeni, il 9,1 per cento albanesi l’8,8 per cento marocchini, e poi via via si incontrano le più svariate nazionalitàucraini, cinesi, indiani. Ovviamente i numeri maggiori di naturalizzati si incontrano tra le comunità di radicamento storico (marocchini, albanesi).